STRANGER THINGS 4, recensione degli ultimi due episodi vertiginosi
Ebbene, dal 1° luglio, dopo una spasmodica e interminabile attesa, tutti gli aficionados della sempre più sorprendente serie Netflix, intitolata Stranger Things, hanno potuto visionare i due episodi conclusivi o potranno finalmente vederli, in tutta calma. Speriamo, apprezzandoli appieno. In quanto, dopo la prima tranche rilasciata poco più d’un mese fa, constante di sette episodi, come appena dettovi, la succitata piattaforma di streaming più importante e famosa al mondo ne ha rilasciato, diciamo messo online, giustappunto, i due segmenti finali.
Avevamo già disaminato, c’auguriamo esaustivamente, i sette primi capitoli di Stranger Things stagione 4 e ora, giustamente, per spirito di finitezza necessario, nelle prossime righe, c’appresteremo, sebbene assai sinteticamente, a recensirvi i mancanti due, per l’appunto, riferitivi poc’anzi. Chiamati rispettivamente Papà (Papa) & Il piano (The Piggyback). Due episodi fra i più lunghi, complessivamente, di Stranger Things 4, rispettivamente della durata di un’ora e ventisette minuti e di due ore e venti. Forse, il minutaggio è esagerato.
Ora, dopo i primi tre quarti d’ora dell’episodio 8, leggermente soporiferi, ecco che all’improvviso Stranger Things 4 riprende il volo eccellentemente, avvincendoci sino alla fine in virtù di numerose trovate magnifiche ed emozionalmente pregne di pathos adrenalinico d’alta scuola registica.
Entrambi gli episodi sono diretti dai fratelli Duffers. Che, ribadiamo, compiono un lavoro egregio, malgrado alcune lungaggini, a nostro avviso evitabili, e qualche prolissa digressione che andava, senza dubbio, scorciata o addirittura eliminata.
Ciononostante, Stranger Things 4, col suo finale commovente (ovviamente, non lo riveleremo) e con la sua struttura, nel computo totale dei nove episodi, omogenea e robusta, non perde organicità e soprattutto fascino, riconfermandosi una delle serie televisive più azzeccate dell’ultima decade. Per quanto, a tutt’oggi, alcuni detrattori irriducibili non vogliano convincersene, attaccandola immotivatamente. Aggiungiamo, perfino ottusamente.
Chiariamoci su un aspetto basilare e di primaria importanza imprescindibile. L’operazione Stranger Things non è esclusivamente diretta soltanto ai ragazzi troppo giovani o molto superficialmente definiti nerd. Nerd, spesso, ha un connotato negativo. Stranger Things, in particolar modo questa quarta stagione, è una serie matura, qua e là, sì, prolissa e diegeticamente dispersiva che, in modo ridondante, talvolta si sfilaccia e sembra perdere quota. Ma, grazie all’abilità dei Duffer Brothers, parimenti sa rimodellarsi compattamente e ipnotizzarci bellamente. Primeggiando per trovate e colpi d’ala tanto inaspettati quanto eccezionali.
Innanzitutto, premettiamo anche ciò. Ovvero, se leggerete questa nostra recensione, essendo essa incentrata particolarmente sui due episodi finali dettivi, deduciamo facilmente che perlomeno abbiate visto i sette episodi che li precedettero. Quindi, eviteremo, sì, sciocchi spoiler che ve ne sciuperebbero la visione nel caso non abbiate invece ancora visionato i due episodi da noi qui brevemente analizzati, altresì e al contempo ci par chiaro ed evidentissimo che sappiate assai bene quanto dapprima narratoci in Stranger Things 4. In poche parole, sapete chi è il grande cattivo mostruoso di tale stagione, vale a dire Vecna (Jamie Campbell Bower).
Cosicché, l’episodio otto inizia, prima dei consueti, oramai celeberrimi titoli di testa, precisamente laddove il tutto s’era interrotto. Il ragazzo di “nome” 01, futuro Vecna, dopo aver battagliato furentemente e sanguinosamente con Undici (Millie Bobby Brown), finendo nell’inferno d’un altro infernale “sottosopra” e trasformandosi in una sorta di Freddy Kruger ante litteram di Nightmare, come sappiamo, ha ucciso nel sonno vari ragazzi e ragazze di Hawkins. E non è ancora, ovviamente, morto. Anzi, pare più forte e invincibile che mai.
Undici è intrappolata nel laboratorio retto da suo padre Martin Brenner (Matthew Modine). Il quale, malgrado le gentili e lecite insistenze del dr. Sam Owens (Paul Reiser) di liberare Undici, non desidera invece affatto privarsi della sua figlia speciale con poteri paranormali da Poltergeist.
Gli agente segreti hanno però scoperto la tana ove si cela e opera Martin, a sua volta, in gran segreto. E sono pronti a distruggerla, ammazzando chiunque capiti loro a tiro. Compiendo, senza pietà, una strage disumana.
Parallelamente alle vicissitudini filmateci e raccontateci, spettacolarmente, su Brenner, Undici e Owens, con continui e ritmati, ottimamente montati spezzoni filmici perfettamente allineati e accordati all’intera storia sin qui vista e mostrataci, ecco che, in modo mirabolante e sussultante, l’aziona saltella e si sposta prima sulla fuga di Hopper (David Harbour) dalla Russia e sulla sua evasione dalla prigionia, coadiuvato, in tale missione apparentemente impossibile e spericolata, da Joyce (Winona Ryder) e Murray Bauman (Brett Gelman), questi ultimi sopraggiunti e venuti prontamente, dopo mille e più strambe peripezie rutilanti, in suo soccorso, poi sulla combriccola dei nostri famosi “amigos” di Hawkins. Pronti, impavidamente e avventurosamente, a salvare Undici dalle grinfie del suo severo padre “carceriere” e soprattutto oramai decisi, tutti assieme appassionatamente e intrepidamente, a recarsi, armati non solo di coraggio da vendere, all’interno della spettrale haunted house, sì, la cupissima casa stregata ove alberga, tetramente e spaventevolmente, il diabolico babau maledetto, Vecna.
Per affrontarlo a viso aperto e possibilmente, quanto prima, ucciderlo definitivamente. A costo di rischiare la pelle, sono pronti a tutto.
I nostri amici, stoici da morire e senz’alcuna pavidità, sono naturalmente Dustin Henderson (Gaten Matarazzo), Nancy Wheeler (Natalia Dyer) e suo fratello Mike (Finn Wolfhard), Luca Sinclair (Caleb McLaughlin) e sua sorella Erica (Priah Ferguson), Robin Buckleu (Maya Hawke) e Steve Harrington (Joe Keery), i fratelli William e Jonathan Byers (Noah Schnapp e Charlie Heaton), Maxine Mayfield detta Max (Sadie Sink) + Argyle (Eduardo Franco) e Eddie Munson (Joseph Quinn), forse con l’aggiunta della stessa Undici? Chissà…
E cosa succederà? Qualcuno o qualcuna di loro, durante lo scontro frontale tanto impavido quanto terrificante contro Vecna, tragicamente morirà?
E qui doverosamente ci fermiamo e non ci spingiamo più in là…
Ancora una volta, sino allo sfinimento, fin troppo abusata, nel momento topico dello scontro con Vecna, echeggia Kate Bush e la sua riesumata Running Up That Hill. Quest’utilizzo, abbastanza marchettaro, della musica della Bush, per quanto bello e suggestivo, c’è parso onestamente legato a ragioni commerciali palesemente dovute a furbi e biechi sponsor alquanto evidenti e discutibili.
di Stefano Falotico