“Hamlet”, recensione
Il Principe cerca il so(n)no
Somma gloria a Kenneth Branagh, sbranato nel suo profondo evocar Shakespeare, echeggiarsene assieme, “scheggiarlo” corazzato qui nella lustrante armatura di “folle” arte d’amatore in sua creazione osannante. Birbante è sempre stato Amleto, il suo pensiero vaneggia, egli è signore ch’oscilla temprato da momenti d’euforica buffoneria e altri in cui la sua anima si perde nel naufragar via. S’arrovella, per un po’ vola e svanisce, s’assopisce e (non) capisce, avvolge se stesso in “superba” dimora, superando le romanticherie banali e poi, com’un infante, adocchia le “innocue” donne graziose, s’imbelletta da corteggiatore e pagliaccio nel “cortile”, spia e sa… ma non parla, taciturno si reprime, s’esprime a gesti appunto teatrali, gran pavoneggiarsi suo (as)solo e “asociale”, si rintana, si castiga e poi esterna incompreso quel che, proprio represso, comprime salvo poi premer sulla melanconia e sfoltirne la leggerezza, a piumaggio sobrio, abbacinante da cigno bianco. “Vulnerabile”, forse si difende nella “pazzia”, barricato in tediose, patetiche poesie da schiaffi in faccia e altri ortaggi a “sporcarlo”. Schivato, sputato, ottenebrato, si rifugia il nostro Amleto nel caldo e candido “letto”. Ove sogna, di leggiadria è agonia invero tormentato. Il dubbio fa dormire… male. Sta zitto, poi sbotta, schizza e scioglie il suo corpo in pose ridicole da tonto, recitando a memoria monologhi nei tutti “pugni” di chi gli ride “platealmente”. Pover’uomo, umile e ometto, qui Branagh usa l’elmetto, rende lo scheletro di Amleto un fiero, platinato petto. Rinnova(to). Sconvolge le tradizioni puriste, ambientandolo in un castello senza Tempo, gotico e subitaneamente barocco, adorna l’Inverno di magica neve florida. In Kate Winslet opziona la sua musa “gioconda”, c’ispira questa Kate ruffiana, acerba e mai di lui sposa? Saltella elegante, Amleto è un miserabile o un nobile d’anima ch’ansima, soffre e soffia virginale sul collo del vampiro a lui (non) amato?
Evanescenza dell’essenza, come dico io.
Essere o non essere. La vita non è un questionario, la risposta esatta è nell’incognita del chiedere e mai azzeccare la “crocetta” del quesito, nella buia e forse invece tanto lucida Notte. Io uso sempre la maiuscola per delinear queste dodici ore meno “sveglie”, quindi più d’immaginazione fervide.
Branagh è il creatore di Frankenstein, non scordiamolo, Coppola gli regalò la Zoetrope da produttore e lui, con la sua troupe, d’attori inglesi, raffinati e colti, scelse De Niro a essere monstre. Non paragoniamolo al Dracula. Altro stile, adoriamoli tutti e due. Ma De Niro? Sì, il mostro sacro che ha soltanto all’attivo due partecipazioni a Teatro. Una in una versione tardoadolescenziale da leone impaurito nel Mago di Oz e una come padre burbero di Ralph Macchio. Una carriera pressoché perfetta sino ad allora, macchiata però da questo “neo”. A differenza di Pacino, amico “padrino” di Francis e forse più in linea col Bardo. Anche se Mary Shelley, all’apparenza, ha poco da spartire col percorso artistico di monsieur Kenneth e di mister William.
Sono sempre stato affascinato dalle logiche che stan dietro la scelta degli attori, specie se il cineasta se ne “discosta” di tutt’altra derivazione. Branagh con De Niro? Lui suo padre “artificiale” e Bob col trucco da capo a piedi? Che razza di pastrocchio è mai questo? Un’opera invece delle più sottovalutate, forse la più monumentale assieme a questo sfavillante Hamlet. D’avanguardia tal lungometraggio, lunghissimo e versione identica, nei dialoghi, parlati e non, del soliloquio attoriale di Kenneth accorato e corale, intervallato dalla sua regia adorante la regina Kate e dalle “apparizioni fantasmatiche” d’altri fenomenali interpreti “mirati” d’oculatezza inappuntabile a dirigerli, anche se in camei (in)utili, ognuno a valore della sua nomea soprattutto iconica ribaltata, da “balletto” e dunque magnifica in danza di sue dame baldanzose.
Li/e reinventa nell’immaginare questo suo Amleto vestito come in un Carnevale veneziano in salsa stupendamente raffinata, perfino ridondante, come pretendo dall’eccessivo, debordante Branagh. Già. Non mi stupii delle quattro ore “tramortenti”, me le bevvi in occhi accecati di purissima, totale Bellezza.
Branagh “distorce” Shakespeare pur conservandolo integralmente. Tutti da Dio, un parterre d’applausi a scena aperta, anche se cinematografica.
Libera il corpo, oh mio nemico zio, dalla cattiva presunzione che tanto t’affligge.
Vieni a me e smascherati, perché ti ho (s)coperto.
Capolavoro (im)perfetto.
P.S.: dovete sapere, oh voi amici “acerrimi” che (non) sapete, in quanto ignoranti, questo è ovvio, che io non credo all’amore. Ne sono… (in)sensibile. Infatti, (non) sto morendo.
E con questa mia vi gelo. No, (non) cedo. Dunque, se permettete, (non) mi congedo.
Kate, oh mia si spera, che belle pere… mi concedi un ballo? Dai dai. Ofelia, suvvia, non farmi inacidire di fiele. Non vorrai mica ridurti come una zitella a guardar le telenovele giamaicane? Sii d’Amleto amante. Dimmi sì. O no? Chi lo sei? O la sarà?
(Stefano Falotico)