A CHRISTMAS CAROL, recensione
Ebbene oggi, per il nostro consueto appuntamento coi Racconti di Cinema, in pieno periodo prenatalizio, recensiremo uno dei film a tutt’oggi più sottovalutati all’interno del mirabolante, creativo e impressionante excursus registico del grande, sebbene altalenante e non sempre convincente, Robert Zemeckis (Benvenuti a Marwen, Pinocchio, Ritorno al futuro), ovvero A Christmas Carol. Ovviamente, l’ennesima e, in tal caso, bella e commovente, trasposizione cinematografica dell’immarcescibile e celeberrimo Racconto di Natale (altresì conosciuto come Canto di Natale) firmato dallo scrittore Charles Dickens. A Christmas Carol, uscito nei cinema mondiali poco più d’una decade orsono, cioè nel 2009, film della durata snella e godibile di un’ora e trentasei minuti scorrevolissimi, adattato, oltre che diretto, come sopra dettovi, dallo stesso Zemeckis, attingendo a piene mani e reiventando funambolicamente, in versione originale 3D, la dolce e poetica favola dickensiana, fu controversamente accolto dall’intellighenzia critica dell’epoca e, al momento, a distanza giustappunto di oltre dieci anni dalla sua ufficiale, primissima distribuzione nelle sale, riscontra un decoroso ma non certamente eccezionale 55% di opinioni positive sul sito aggregatore di medie recensorie, metacritic.com. Crediamo noi, a ragion veduta, erronea e distorsiva rispetto al vero valore del film, soprattutto avendolo rivisto con maggiore sottigliezza e più “indagatoria” oculatezza, insomma col senno di poi, una complessiva valutazione troppo superficiale, specialmente immeritata. In quanto, in questo melanconico e sublime viaggio tridimensionale straordinariamente allestito in live action d’alta scuola magistrale, Zemeckis riesce ad emozionarci notevolmente pur avvalendosi fortemente d’effetti avanguardistici alle volte leziosi e fin troppo sperimentali, arrivando magicamente a toccarci nel profondo malgrado un impianto, potremmo dire, avveniristico pedantemente ricercato. Per cui, a prima vista, l’opus di Zemeckis, apparentemente sol preoccupato dei minimi dettagli tecnici a sfavore, inizialmente, della narrazione e del pathos emotivo, potrebbe risultare stucchevole e artefatta. Niente di più falso e insensato. Ma, con calma, disaminiamo concisamente A Christmas Carol. Estraendovi letteralmente la stringata sinossi da IMDb, in questa pellicola incentrata, naturalmente, su un avaro dell’era vittoriana che intraprende un viaggio di auto-redenzione, grazie a diverse misteriose apparizioni natalizie, il protagonista principale del romanzo e di tale adattamento zemeckesiano, ovvero il famoso Ebenezer Scrooge (un grande Jim Carrey che, malgrado il pesantissimo trucco e la “trasformazione” digitale in computer graphics del volto e del suo corpo, riesce mimeticamente ad eccellere, personalizzando il personaggio incarnatovi con assoluta riconoscibilità inimitabile), nelle mani e nella poetica del regista di Forrest Gump, Flight & Contact, diviene la trasmutazione meta-cinematografica e la variazione tematica, precisamente, del suo epocale e portante Back to the Future. Cosicché, A Christmas Carol, assurge a totemica, nuova sua opera speranzosa, torreggiando come una riflessione importante sul tempo ritrovato, sulle emozioni perse, obliate o rimosse, miracolosamente recuperate ed estaticamente resuscitate in modo clamoroso e apoteotico. Scrooge, infatti, diventa una sorta di George McFly/Crispin Glover ante litteram e i fantasmi del passato non son altro e altri che suo figlio Marty/Michael J. Fox in ambito diverso, eccentrico ed inventivo in forma tout–court e in senso (a)lato.
Musiche sontuose dell’habitué per antonomasia di Zemeckis, vale a dire Alan Silvestri, e un rinomato parterre d’attori da leccarsi in baffi in cui, oltre al primeggiante e svettante Carrey, il quale, oltre a caratterizzare Scrooge, è financo i tre fantasmi, cioè del Presente, del Passato e del Natale Futuro, spiccano le presenze del sempre superbo Gary Oldman, che si triplica, in modo trasformista, in Bob Cratchit, Jacob Marley & Piccolo Tim, Colin Firth nei panni del nipote di Scrooge, ovvero Fred, Bob Hoskins in un doppio ruolo, alias Nigel Fezziwig e il vecchio Joe, Cary Elwes (Robin Hood – Un uomo in calzamaglia) e Fionnula Flanagan. Sì, A Christmas Carol è hollywoodiano, quindi spesso retorico, dolciastro e furbetto, altresì grandemente stupefacente, la versione moderna e in CGI de La vita è meravigliosa di Frank Capra, intrecciata all’incontrovertibile arte cineastica assai mirabile di Zemeckis.
Il quale, alla sua massima ispirazione, è un regista impari e davvero innovativo e affascinante al più sublime grado.
di Stefano Falotico