TULSA KING, recensione
Ebbene, oggi recensiremo Tulsa King, serie tv che è approdata, in streaming, su Paramount +, e ha debuttato con un record di spettatori e cifre, diciamo, di visualizzazioni sensazionali, superando le ben più rosee aspettative. N’è assoluto protagonista un Sylvester Stallone in grande spolvero che ivi trova un ruolo cucitogli su misura alla perfezione e che gli è, in effetti, congeniale. Sly ne calza, come si suol dire, a pennello e, in tale sorprendente, dinamico e scattante Tulsa King, egregiamente doppiato qui da noi da Massimo Corvo, alla veneranda età di settantasei primavere abbondanti, malgrado una sua fisicità inevitabilmente un po’ appesantita e alcune opinabili sue movenze statiche, riesce, ripetiamo, a farsi carico di questa bella e scorrevolissima serie televisiva di pregio, divertente e ricolma peraltro di scene d’azione da leccarsi i baffi.
Tulsa King, constante di dieci episodi della durata cadauno di quarantacinque minuti circa, è frutto della fervida mente irrefrenabile del sempre più talentuoso e fruttifero Taylor Sheridan, regista de I segreti di Wind River, sceneggiatore di Sicario e del suo sequel Soldado con Benicio Del Toro e sia director che autore dello script di Yellowstone con Kevin Costner. Il quale, in piena pandemia, ebbe la brillante idea, per l’appunto, di congegnare e concepire Tulsa King, patrocinato, inventivamente e non solo, dall’altrettanto infermabile Terence Winter (The Wolf of Wall Street).
I primi due episodi sono diretti da Allen Coulter (Hollywoodland, I soprano) e la sua elegante mano si sente, eccome.
Sintetizzando parecchio la trama di Tulsa King…
Dopo venticinque anni durissimi di carcere, il gangster tutto d’un pezzo, giammai redentosi e fiero di esserlo, di nome Dwight Manfredi (Stallone), ribattezzato col nomignolo The General, esce di prigione, ritornando a New York. Il suo boss lo spedisce a Tulsa per gestire un importante affare. È questa la sua discutibile e amara ricompensa, nonostante Dwight, dietro le sbarre, tenne il becco chiuso per coprire il capo e i suoi scagnozzi…
Malgrado l’iniziale titubanza e il suo comprensibile risentimento, giocoforza e certamente non di buon grado, Dwight accetta quest’ingrato incarico e tale affronto che, apparentemente, lo declassa. Eppure, in virtù del suo innato charme, della sua coriacea personalità carismatica e della sua feroce grinta immarcescibile, Dwight riuscirà a capovolgere la situazione a suo favore, forse ribaltando il gioco bastardo… Districandosi, con inaudito e fenomenale savoir–faire e molta violenta simpatia, in tante avventure rocambolesche e pericolose non prive di succosa follia.
Per ora, ci siamo volutamente e logisticamente limitati qui a disaminare, di veloce panoramica esegeticamente striminzita, i primi episodi di Tulsa King. Innanzitutto per non sciuparvene la visione, aspettando trepidantemente lo sviluppo dell’intreccio che promette molte godibili sorprese esilaranti e scoppiettanti.
Cast grandemente assortito ove, a fianco d’uno Stallone mattatore, spiccano le presenze parimenti efficaci del tassista e poi personale autista Tyson (Jay Will), dell’agente federale Stacy (Andrea Savage), della conturbante e incredibilmente attraente Margaret (la bellissima doll–milf Dana Delany che, superati abbondantemente i sessant’anni, stupisce per la sua presenza ancora sensualmente appetibile), di Bodhi/Martin Starr, Tina/Tatiana Zappardino, di Charles Ivernizzi/Domenick Lombardozzi (The Irishman) e tanti altri attori fra cui Annabella Sciorra. Stallone gigioneggia in modo sublime nella parte del duro che si prende giuoco del mondo, mitizzando sé stesso e al contempo ironizzandovi con classe tanto iconica quanto auto-parodica che lascia il segno.
Tulsa King è al momento promosso appieno.
di Stefano Falotico