THE HOLDOVERS, lezioni di vita: recensione

Alexander Payne ha già 2 Oscar come sceneggiatore. Questa volta a vincerlo sarà Hemingson?

Finalmente, anche io vidi The Holdovers, sottotitolato, qui da noi, Lezioni di vita. Anzi, ho appena finito di vederlo e utilizzo dunque, più appropriatamente, il passato prossimo, essendo trascorso un tempo alquanto breve fra la mia visione avvenuta e completata e l’incipit di tal opus, no, l’inizio di quando iniziai/ho iniziato a scrivere la seguente recensione in merito, un tempo verbale giustappunto più pertinente e mi pare più in linea con quello atmosferico del film stesso, no, anche di Bologna nella giornata del 23 Febbraio di tal anno in corso, dì nel quale guardai, anzi, ho guardato il lungometraggio presto disaminatovi e preso in esame a mo’ dello scorbutico professore Paul Hunham incarnatovi da Paul Giamatti. Ho appena scritto una frase insensata e un anacoluto assurdo, un periodo soprastante privo d’ogni costrutto significante… qualcosa? Può essere ma mi piace essere creativo e qua, libero da pedanterie grammaticali e/o sintattiche, no, riguardanti le asfissianti regole classiche e editoriali, volteggio come meglio si confà al sottoscritto. Ah, ma che cosa ho di nuovo scritto?Holdovers locandina

Diretto dall’author Alexander Payne, eh eh, The Holdovers è senza dubbio un bel film, lieve e sanamente sentimentale, oltre che appieno godibile, bellamente dolce senza quasi mai scadere nel patetico più retorico o melenso, sebbene sia ascrivibile totalmente al mainstream autoriale, sì, eppur hollywoodiano tipico del Cinema, per quanto personale, pur sempre convenzionale. Il che non corrisponde necessariamente alla parola banale… attenzione!

Accolto molto favorevolmente dall’intellighenzia critica mondiale, seppur non in maniera unanime, The Holdovers è attualmente candidato a cinque Oscar in categorie rispettivamente molto importanti che però non includono, diciamo, la nomination al miglior regista, quest’ultimo rappresentato nientepopodimeno che dallo stesso Payne. Il che è paradossale soprattutto se pensiamo che The Holdovers invece compare, in prima linea, tra le pellicole, ben dieci quest’anno, che gareggiano per contendersi lo scettro di Best Motion Picture of the Year. In compenso, per modo di dire, Payne è stato nominato per la sceneggiatura? No, spesso delle sue opere è anche writer, stavolta no, poiché la penna di quest’opera porta la firma di David Hemingson.

Hemingson è candidato? Certo. Se, di The Holdovers, vole(s)te leggere la trama, da Wikipedia, e conoscere i premi, non solo inerenti gli Academy Awards, già assegnati che vinse o a cui tutt’ora “ambisce”, eccovi il link appartenente all’enciclopedia generalista online appena succitata:

https://it.wikipedia.org/wiki/The_Holdovers_-_Lezioni_di_vita

Estraendovene le prime righe, riportatevi fedelmente, da me “corrette” e inserite in corsivo…

New England1970. Paul Hunham è un impopolare insegnante di lettere classiche alla Barton Academy a cui viene affidato il compito di supervisionare i quattro studenti che rimarranno nel collegio durante le vacanze di Natale. A loro si aggiunge anche Angus Tully, un ragazzo intelligente ma ribelle costretto all’ultimo minuto a rimanere a scuola dopo che la madre ha deciso di andare in luna di miele con il nuovo marito. Rimasto solo con i cinque adolescenti e Mary Lamb, la cuoca che ha recentemente perso il figlio in Vietnam, Paul regola severamente le giornate degli studenti, rendendosi ancora più impopolare. Pochi giorni dopo l’inizio delle vacanze, i genitori di uno dei cinque ragazzi vengono a riprendersi il figlio e si offrono di portare anche gli altri studenti in vacanza con loro, ma dato che la madre di Angus è irreperibile, l’adolescente è costretto a rimanere da solo alla Barton con Paul e Mary. Il rapporto con il professore resta teso, tanto che Angus scappa per i corridoi ed entra in palestra, dove si sloga una spalla. Paul lo porta in ospedale, dove Angus mente sul modulo per l’assicurazione per proteggere Paul dalle responsabilità dell’accaduto. I due cominciano quindi a legare.Joy Randolph Sessa Giamatti

Eccetera, eccetera. L’episodio, sopra dettovi e chissà se da voi letto, concernente lo slogamento della spalla ai danni di Danny, no, Angus, interpretato da un puntuale ed esordiente Dominic Sessa, è onestamente poco plausibile ma è la lussazione, no, il materassino con le molle, no, la molla che smuove l’azione e le conseguenti, a catena, reazioni, perfino emotive e diegetiche.

Da’Vine Joy Randolph vincerà sicuramente l’Oscar come miglior attrice non protagonista e non ha rivali che tengano. Mentre Paul Giamatti sarà scalzato dal favorito Cillian Murphy di Oppenheimer come Best Actor? E Kevin Tent s’aggiudicherà la statuetta dorata per il montaggio? Le belle musiche, con echi alla John Lennon dei tempi d’oro, a cura di Mark Orton, non candidate all’Oscar, sono meritevoli e The Holdovers merita davvero… i plausi ricevuti e forse qualche Oscar che riceverà?

Ecco, dopo lo scivolone di Downsizing, il Cinema di Payne torna a “vivere alla grande”, risalendo alle origini di sé stesso e (ri)tornando sui banchi di scuola… di Election? Reinventando, a tratti, il sottovalutato Scent of a Woman di Martin Brest con Al Pacino e costruendovi un “Nebraska” in a(m)biti studenteschi con tanto di dolceamara morale annessa e un po’ indigesta?

The Holdovers è tante cose e “imita”, seppur originalmente, tanti autori, chissà se più bravi del “copione” Payne, a partire da Mel Brooks nelle scene slapstick ai limiti del demenziale più intelligente, no, James L. Brooks coi suoi siparietti melodrammatici più garbati e sofisticati. Agli americani tanto è garbato, a noi europei leggermente meno. A me invece? Parecchio ma non troppo. È un film delicato, intimistico, fotografato meravigliosamente da Eigil Bryld ma mancante forse di sentito brio e incapace di emanare emozionanti e purissimi brividi. Tutto sembra infatti, per quanto elegantemente girato con stile inappuntabilmente “spigliato”, spogliato di genuinità vera. Ma Payne è questo, prendere o lasciare. Puntualmente, alla fine di ogni suo film, tralasciando per l’appunto Downsizing, non sappiamo bene se ha girato un capolavoro un film “furbo”, lezioso e da chi vuol fornirci lezioni… non solo di vita da ex “stronzetto” collegiale figlio di papà, “autobiografico” delle sue amarezze forse non davvero tali ma allestite da director “piacione”.

The Holdovers, ripeto, è un film lodevole ma troppo lungo, no, lungo le sue due ore e un quarto circa di durata, raramente commuove davvero, scevro com’è di visceralità autentica. Ma è il mio opinabile punto di vista. Giusto? Payne frequentò l’università? Fu un fighetto? Mah. Voi sapete, si sa… che non potete sapere. Sovente vi date al sapere per fingere di essere Payne. Dunque, pane al pane, vino al vino, diamo a Payne la patente di gran regista e ora studiate… da lui. Ah, siete autodidatti? Quindi, topi, no, tipi alla Falotico. Bravi. Siamo stufi dei maestri(ni). A parte gli scherzi, The Holdovers è molto toccante, specialmente nell’ultima mezz’ora ove, mediante una serie tanto veloce quanto efficace di trovate, probabilmente, sì, un po’ prevedibili eppur al contempo ficcanti, in virtù di registici colpi magistrali inequivocabili, tocca nel profondo le nostre anime, colpendo vivamente nel segno robustamente.Paul Giamatti The Holdovers

Osservazione finale: nel Cinema contemporaneo, non sol americano o filo-esterofilo, anche appartenente ad altri continenti che esulano dal Nord America, dagli States, quindi financo dall’Europa e naturalmente dalla nostra “piccola” Italia (immantinente citerò un regista italianissimo sebbene oramai affiliato a co-produzioni estere), c’è una costante abbastanza ravvisabile a occhio nudo, diciamo, imprescindibile e inquietante. Il tema, ovvero, degli ospedali psichiatrici, delle persone malate di mente e internate, ricoverate in centri di salute mentale e/o affette da patologie a riguardo della mental illness, è pressoché onnipresente in molteplici, anzi, innumerevoli pellicole di ogni nazionalità. Inoltre, tale scottante, osé, no, oso dire scabroso argomento spinoso, non fa parte solamente delle storie attinenti alla realtà oppure ispirate a essa, più o meno romanzate o da un cineastico occhio e sguardo poetico filtrate e rielaborate, inventate, perfino edulcorate o, di contraltare, enfaticamente ingigantite, semmai al contrario minimizzate. Qui infatti, ancora una volta, assistiamo al personaggio del padre di Angus che, negli anni settanta (con tanto di susseguente capodanno del ‘71), è rinchiuso in un frenocomio. Ma non è, ribadisco e meglio ivi spiego, l’unico caso, non clinico, eh eh. Ricordiamo brevemente, a titolo puramente esemplificativo, oltre all’inevitabile Joker/Phoenix di Todd Phillips, la Sevigny di Bones & All di Luca Guadagnino, appunto (implicita e qui esplicitata cit. sopra) e Gladys Pearl Baker, alias Julianne Nicholson (che non è la figlia del Nicholson di Qualcuno di volò sul nido del cuculo, uh uh), di Blonde by Andrew Dominik con Ana de Armas nei panni di sua figlia Marilyn Monroe.

di Stefano Falotico

 

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