A M E R I K A , recensione del cortometraggio di Saverio Corti

Come sappiamo, Donald Trump è di nuovo Presidente degli Stati Uniti, il 47°!

Giusta l’occasione, quindi, per recensire e parlare del cortissimo sperimentale intitolato A M E R I K A firmato Saverio Corti, un filmmaker avanguardistico di cui si è parlato a proposito dell’alieno mediometraggio GN-z11 presentato, qualche tempo fa, a “Fuorinorma” di Roma.

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Una curiosità o premessa importante: le riprese del cortometraggio A M E R I K A sono state realizzate tra New York e Manhattan nel periodo a ridosso della pandemia, in epoca quindi trumpiana; il progetto esecutivo è di molto successivo e quindi recente, chiusosi nel giugno del 2024.

A M E R I K A pare al contempo soavemente avvolgente e suggestivo poiché l’autore ha adottato la collaudata linea espressiva, quella del viaggio ipnotico in bianco e nero, alzando il tono qui solenne come provocazione, sommando dettagli pulsanti d’accesso colore rosso-blu mescolati a mo’ di spruzzi e sprazzi quasi subliminali in un paesaggio trasfigurato e/o in movimento.

Uno sguardo ermetico dispiegato in linee multidirezionali, surreale, impressionistico.  Gli scorci cittadini inquadrati nel velocissimo, sibillino sfilare furioso di treni metropolitani dell’hinterland newyorkese, seguono le note di una fantasiosa immaginazione musicale e sperimentale di Karlheinz Stockhausen (estratto da Hymnen del 1960).

Il viaggio corre spedito e dedalico tra le quasi-fatiscenti case basse del Queens alternate o prossime agli scultorei palazzi e “vitrei” grattacieli svettanti nel cielo terso e poi plumbeo d’una polis entropica forse immaginata o immaginaria.

Luciferina, “aliena” e morbidamente sinistra appare la sagoma finale di Donald Trump in versione ectoplasmatica: un nero fantasma mascherato come Zorro si staglia tetramente e teatralmente gigantesco nel viavai e nella scorribanda tumultuosa interrompendo i frames orizzontali con un movimento lento e zoomato in avanti.

Secco, potente, volutamente indecifrabile, A M E R I K A  è esperienza cinematografica che, a dispetto della sua brevità, ammalia e s’imprime ferocemente nei nostri occhi grazie anche all’accostamento sonoro rumorista del geniale compositore tedesco che ne definisce i contorni culturali, di significato simbolico e di provocazione.

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di Stefano Falotico

 

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