Taxi Driver, chirurgia del dolore
di Stefano Falotico
La visione “religiosa”, stroboscopica e innatistica di Travis Bickle
Labile corrosione nel corpo cristologico di Travis. Martirio in “pietra” d’uno scheletro a(r)mato in sé “pietistico” quanto poi a incendiarlo impietoso, autoreferenzialità che ingloba ossigeno agonizzante, si “carbonizza” a calvari suoi stessi trasformistici, senza valvole di sfogo, ecco che scoppia il “mostro” creato dalle falsità. Tra un Mondo frastornante che segue logiche “savie” ma in realtà sbagliate e dunque virtualmente sempre nel mentirsi dietro parametri effimeri, in un Mondo già (e)stinto ove impera il bieco ed egoistico solipsismo erroneo, cupo, sordo e orrido, culminerà la sua “tragedia annunciata”. Oh oh, Travis nostro errantissimo. Zigomi d’un taglio e recisioni corporee d’un invero ectoplasma marmoreo. Scultura “plastica”, ad appannaggio di lui stesso “appannato”. Vibrante in virar acuto ad “ago” nelle vertebre dei folli. Come un volante che ruota “ispido”, sospeso nella suspense parossistica traballante, di “colore rasoio” colante fra il Peccato, da cui tutti i credenti ma anche gli agnostici provengono in tal “atea” società, in apnea, di spettri penosi corroboratisi negli alveari del miele fake, tra le aggroviglianti emozioni superficiali e della filigrana che ha perduto non solo la propria anima… ma soprattutto delittuosa nel “crimine” silenzioso del tacere l’animismo sincero alla base d’ogni spirituale elevazione.
Lui che si “orgasmizza” è invero proprio la veritas profonda in mezzo agli schi(ama)zzi frivoli, alle risate del coccodè di massa, dal pollaio se n’estrae e lotta una guerra già vinta perché “vittoria” di oscurarsi nel Buster Keaton privo di “vita” all’apparenza, quindi il suo simbiotico “cattivo” al contrario di tutto e tutti. Un “comico”, un buffone lontano però dalle corti e dai nasi con le gambe corte. Trasparente, si mostra “mostruoso” per quello ch’è. E non scende a compromessi.
L’estrema urgenza di non star mai fermo, di cambiare perennemente, d’evolversi a battito cardiaco del “getto continuo” sanguigno. Vitrea opacità del collettivo, terrificante rapimento. Di quello che vediamo ma non vediamo, è come se tutti sappiamo ma lui ha il coraggio, anche patetico o senza senso, “scellerato”, di denudare in una “finale” esibizione che, per paradosso e proprio colmo di ribaltamenti “reali”, diviene il gesto sacrificale d’un “eroe” contro la sua (non) volontà.
L’incoscienza di Travis e del suo (in)compreso senziente.
Una perla, Taxi Driver, che ancora sconcerta a distanza d’oltre… un trentennio. Apocalisse di rumori, anche nostri, di fondo, chiarezza lapalissiana del pasto nudo sociale e “luculliano”, ove tutti i lupi mangiano e proprio l’agnello assurge a wolf underground, sotterraneo, eppur presente. Anche troppo. Da brividi a pelle.
Fa male, (si) sente…
Fra ilarità violente, irrispettose e scevre di “Vergine”, Travis “impazzisce” per reazione “sospetta”, per “gastroscopie” al suo ventre che non più sopporta.
Ed esplode.
Non sense. Forse sì. In sen(s)o alla vita delle rincorse, (ri)corrente contromano.