Io sono morto di Vera Q., leggetelo assolutamente, in modo inderogabile
Una recensione di Stefano Falotico
La storia a ritroso di un dead man già all’obitorio
Fabbris è morto, uno spettro rancoroso che ha già valicato la sogli(ol)a dell’aldilà e, allucinato, in preda al panico della zona senza ritorno, serpeggia in un aleggiante incubo rosso sangue, vivo come non mai, di terminali neuronali che lo schiacciano in un’umanità quasi da Innominato nel suo Terzo Grado del confessionale-“postribolo” dei suoi peccati dell’essere-not being stato.
Così, accerchiato dalle divinità più disparate, vaneggia in farneticazioni “ultraterrene” coi piedi però ben piantati a terra, urlando nella propria anima da irredento che non vuole, non vuole proprio redimersi. Sfugge agli orrori del suo passato obbrobrioso, colmo di scheletri nell’armadio, “afferra” per le tenaglie del suo cuore inacidito e ancor di più adirato i parenti e ogni nemico, accusandoli di alto tradimento e viltà. Specchiandosi forse da fantasma, uno spaventapasseri evanescente che prova a esorcizzare la sacrosanta, (in)giusta sua morte. E s’indemonia di spaventosa rabbia.
Ma il finale non vi svelerò.
Vera Q. è una scrittrice che sa dosare la prosa più arzigogolata e fantasiosa a virtuosi segmenti fortemente satirici, è secca ma miscela le parole con parole “acustiche”, che sì risuonano permeate d’un gusto “macabro” dell’ironia più perfida e sottile. A dissacrare la nostra misera umanità, denudandola per quel ch’è invero, nuda, cadaverica, emaciata e flatulente, putrida e gemente solo patetici lamenti, qui incarnati nella “voce” tetra, pallida e glaciale del (non) silenzioso Fabbris, tutto ciò che ogni medio borghese sicuramente è ma finge di vivere… quello che è nel siete, siamo, essi vivono…?
E, in tale spettrale lungo racconto, quasi tutto scandito briosamente in prima persona narrante, infarcito di dialoghi esplosivi che sbalzano raffinati e goliardici da citazioni horror a personaggi neri viranti al “cremoso-tenero”, oltre allo stesso Lucifero “in persona”, appaiono “comparsate” diaboliche nella lor ingenua cattiveria cinica e impietosa, e vanitosi “cammei” di personaggi buffi ma spietati da ricordarci quello che potrebbe essere uno spassoso Devil’s Advocate in vesti davvero funerarie, “cimiteriale” e Tim burtoniana la nostra Vera è verissima.
Coniuga l’umorismo dark al comico “allegro vitale”, donando al suo libro un ritmo irresistibile, ammonendoci in tal odioso Fabbris “demonizzato”, all’ammoniaca slavato d’ogni onta colpevolissima e bianco-cera.
Che penna.
E tutto assume un tono soave di mesto cordoglio.
Che colpo.
Tic toc, toc toc, forse Charles Dickens e “Christmas Carol…” ambientato, in modo originale di tempi nostri?
Fabbris e la sua già macchina ad orologeria.