“Jimmy Bobo – Bullet to the Head”, recensione

Un vichingo nel fango dei baci romantici da “sentieri selvaggi

Sly è un corpo in azione, un fumetto fantasioso, istintivo, metallico, intagliato di ferrea robustezza a imbrunirsi morbido su beffarde angosce esistenziali, sospirate nella “gola” dei suoi zigomi “al rasoio”.
Monolitico ed espressivo di simpatia a pelle, reminiscente, nella carne “oculare”, tutta la galleria di anti-eroi “macchiati” nel sudore, dentro le “locande” bastarde e att(r)accate a “borchie” di Lune opache, lottatrici per non morire quando il sonno non cal(z)a negli occhi martoriati d’un dolore antico.
Elettrico di pelle levigata, muscoli raggrinziti ma teutonici e “smunti”, dirompenti, acuiti nel nervo fiammeggiante d’una rabbia sempre nascosta, “rassodata”, tirata, adirata per temprare il carattere a “freddezza” canaglissima di chi non è servile al sistema, lo combatte con pugni secchi, lo ingurgita e aspira in vene dilatate dei bicipiti “sforzati”, collegati alla grinta della sua “ottica”, buono di tante sfumature color ombra “crema”, che passeggia con sbilenche gambe “annoiate” ma irrigidite nel doppiopetto anche di magliette aderenti su addominali eretti d’un orgoglio sempre a testa alta. Anche quando lo “sterno” ti rompe le vertebre, strizza l’amore e ti ruba perfino la migliore insonnia, quell’istante, lungo un Giorno, per cui vivere, tanto sai che domani sarà un’altra sfida e poi ancora agnizioni di tue anime, chissà ove sepolte, per scoprire chi sei o chi mai vorresti essere, quindi il tuo Io da tener a freno nel ringhiare da indomato battagliero fra queste convulse notti vagabonde. Ti ami? Quanto credi in quella faccia da schiaffi… donati e a-rmati? Per un rinnovato albore, per un altro tuo Cuore, per altre fratture da ricomporre con la “saldatrice” arrugginita del vento crepuscolare al mai tramonto dei serali, tristi “addii”.

Un finale alla John Wayne, un rapace fra gli indiani, con un cattivo identico ma “moderno” del classico Ford. Un Momoa etnicamente diverso, agguantato di scultoreo carisma antipatico nelle orbite visive d’un Walter Hill che plasma i personaggi come argilla fra mani di fotogrammi ruvidi ma luminescenti, un montaggio che aspetta la “mossa” e poi svolta, incrocia di flashback a durar un frammento del sangue, a saturarli, striarli, stritolarne il vagito, poi vira di scintille come falchi e fantasmi, come ombrose iridi di Stallone, splendido nell’essere proprio Sylvester. Hill gioca infatti con la sua icona, recupera addirittura una “locandina-immagine” dall’ultimo RamboJohn il proletario a caccia dei brutti ceffi, sbirro-sgherro tutto “storto”. “Appassito” ma Lui, resistente agli urti.
E “spettacolarizza” la massa muscolare di Sly, tergendola in una sauna di “Calibro” a “gocce di suspense”, esalta di dinamiche corporee, senza ralenti o effetti, spinge in un’impazzita lotta fra piscine, marmo e nightmareimmarcescibili. L’atmosfera soffusa, che strizza l’occhio al genere per un autore Hill mai in pilota automatico, è la Natura di Jimmy Bobo. Una creatura “buffa” ma che va per la sua strada. Grezza, erronea forse, eppur saggia da chi esperito e sputato! C’è anche Sergio Leone, c’è un barbaro “invincibile” più duro delle lame.

Anni ’80, e anche immersione in quel che viene prima e forse dopo, postmoderno, appunto instant classic.

Un grande film è la dimostrazione che la trama è una banalità, gli ingredienti sono il lievito della miscela, del carburante “inutile”, del “Non succede niente, almeno così sembra, tutto è successo però vediamo in che modo, anche nel prevedibile”.
Quindi, due colleghi amici. Uno vien fatto fuori per ragioni “stupide”.

S’innesca la miccia della vendetta, del “viale” da duellanti.

Delle faide cruenti, crude d’artigli su nocche profumate di pistole western. Come sfondo, una metropoli lucida, incandescenza roventissima. Rapimento, ostaggio, perché aspettare però con dilatazioni narrative? Hill arriva subito al sodo e al “suonarle”.

Bang, dissolvenza, si cambia prospettiva, non cambia nulla.

Sly è un gigante stronzo. Fa buon viso a cattiva sorte, tira i dadi, estrae dalla fondina il suo “Buonanotte”.

Titoli di coda.

Arrivederci, sogni d’oro e grazie.

(Stefano Falotico)

 

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