Hollywood bianca, Stefano Falotico è Cinema e Letteratura
La bramosia attraente del Cinema e della Letteratura
Ad opera di Stefano Falotico
Mi vivo, vividissimo, in sempre più smunto viso, arcigno e deodorato, persino debosciato e di proboscide a un naso fieramente dispettoso alla car(tilagi)ne, essa stessa allungante… e bugiarda, in mio adornare la pelle glabra per perpetua vacuità, di peli arruffati che s’imbrogliano in quasi doppi nodi buffi e, arzigogolati, spronano il mio mandrillo.
La vita è contemplazione, oggi che, dissipate tante noie, ruvido non gemo più soffrendo. Ché di sofferenza fui taciuto e anche tacciato, dagli ignoranti, come“lebbroso” ma, seppur ancora di agnosticismo ed epico, coraggioso mai struggermi per tal vostre lotte sconce, di essenza sarò requie turbolenta d’eterna empietà e nell’eremo a mia brada e feroce, lanceolata e forgiante fantasia libidinosa.
Valicando mari e alte, svettantissime montagne, supererò ogni superlativo osceno della superbia a me sposa. Del mio sano palcoscenico. Teatrante di chi (non) recita e non è una scimmia Cheeta, anche se era meno scema di voi perché almeno indossava il decoro dell’ambire al cazzo d’un grosso gorilla. Rigogliosa, domani di nuovo flaccida, quindi neve e fremiti dal tremolio al dolore più venoso, quello zampillio di angosce nervose, d’inestirpabile manto crepitantissimo nell’anima a veleggiar per toccar sponde di mie orgogliose navi.
Mai leverò le ancore, spogliatemi ancora, in tutte le ore. E sarò l’oracolo di miei monocoli, di cieche visioni a rinforzarsi secondo secco dopo altri profumi dei miei tanti cuori vischiosi, mai rinsecchiti, no, non ai crassi e ridanciani baratti io la mia anima pattuirò al fin d’affiliarmi in equilibri stanti. In quanto leviatano, creatura notturna, armonia giocosa, intimarmi a vigorose leggiadrie adorabili e quindi poi nuovamente non tanto letiziose. Poiché sono cheto e perciò inquieto. Coltiverò il mio ispido porcospino, erto a pellaccia irtissima e non mi pizzicherete, oh no, miei pazzi ché tutta la vita pigliate a frizzi e al patetico la(z)zo. Olezzi vi addomesticheranno al vederla opalescenti e vi nutrirete solo di sterile miserabilità, della più esecrabile lentezza.
Io ho scalato mille vertici e mi prefiggo di mai affiggermi in bacheca del carisma e degli allori. Il mio motto è la vita che riscocca dorata, sempre ondeggiante in balli della mia inoppugnabile, scorbutica, indomabile bellezza. Ed è rinomanza e tanti romanzi.
Intagliati a miei intarsi, mentre voi vi tartassate e gioite solo degli alibi a immolare la povertà morale in t(r)ono di ridicoli alibi. E le albe? Smarrite, già morirono, ottenebrate da tanto vostro bri(vid)o raggelante.
Io scrivo inesausto e mai mi sosto. Perché sono l’innovazione a me stesso, che s’inne(r)va a geli permanentemente da sghiacciare con ingegno creativo, col cratere del mio esplosivo sempre nuove partorirne. Come le aurore, il ticchettio dapprima flebile e dunque tonitruante, fra altri tortuosi tornanti dell’esistenza bruciante, oh sì, esistersi davvero non è miele sdolcinato dei vostri zuccherosi alveari, ma obiettivi… re(g)ali del giammai chinarsi né al tedio né tantomeno al dom(in)arsi.
Mi prostro da scribacchino? No, da sincero stronzone.
E strozzatevi pure di lavoro inutile per accoppiarvi come animali per il “sapone”, buoni a nulla rimarrete e, affogando nella marea dei sogni perduti e da voi stessi sommersi per colpa del barbarico cinismo, mangerete solo laido purè e fiocchi di patate a vostr’anima pelata…