L’enigma delle anime perdute di Manuela Paric’
Recensione di Stefano Falotico
Funeraria, corrosiva prosa fluida ma tagliente, annusante, come un’investigatrice dolcemente nera, le labili sfumature della realtà. La nostra realtà è pericolante, densa d’acredini ataviche, mai a debellarsi, martirizzate nella normale apparenza di noi tutti, maschere del palcoscenico a nostri (in)coscienti inganni, piccoli o grandi. Mostri?
Pioggia, Sole, giganti, nani, tempestati da più o meno grandi dubbi e superstiziose ubbie, al lupo, al lupo, qualcuno trema, premonisce il peggio, grandine… la favola di Cappuccetto Rosso si sta materializzando.
Siamo meteore fugaci nell’ingranaggio incomprensibile, ci crediamo dominatori del percepir giustamente la vita ma chissà… potremmo essere soltanto accecati da un personale abbaglio quando pensavamo fosse assoluta, imprescindibile certezza, sospinti a “scolpire” la realtà dietro una paura (ir)razionale, un (rag)giro di farneticazioni, congetture, di più o meno acuti viaggi mentali, spesso ritorsivi o distorcenti perfino noi stessi, ché abbiam sempre creduto di esser inte(g)ri, saggi, perspicaci, intuitivi e coscienziosi, appunto. Forse, invece, solo evanescenti dinamiche del pensare estemporaneo in balia di schemi percettivi dell’attimo già sparito, franto, caduco e traballante, prima certo e poi ancor vacillante, ieri come (non) eri, tu come non fosti davvero per come ti vedranno domani e giammai. Mai stati, mai (e)statica è la vita, sempre in cammino. Semmai sei sempre stato questo, probabilmente, perché no? Può darsi.
La realtà è mutevole e nell’occhio di chi guarda, di chi la filtra a sue intuizioni ma desume poi in base al suo retaggio, al suo background di substrati, a loro volta variabili a seconda dell’averlo esperito, “inalato”, captato secondo una strana, insondabile, primitiva genetica a cui, volenti o nolenti, dobbiamo abdicare. Perché ragioniamo sulla base di qualcosa d’incurabile, la nostra umanità, anche pensante, sofferente, apparentemente appunto mutante, è forse solo confinata dentro le imbattibili barriere del nostro averla costruita in metriche variabili, “atmosferiche”, metempiriche palpitazioni, ove tira il vento e a campare, limitati. S-finiti, (s)confinati nella nostra piccola, sorprendente (dis)umanità. Dis-integrante per dis-illuderci.
In questo coacervo…, riflettendo o no, ecco che allora è naturale chiedersi se il protagonista “invisibile” del romanzo, Tessuto, sia davvero “un criminale efferato, imprevedibile e scontento… senza alcun rispetto per la vita”, citando appunto fra virgolette le testuali parole della sua autrice, come da inizio del capitolo 10…
Ognuno nutre il proprio mostro… o, meglio, ci è parso di vedere un mostro?, sempre citando e parafrasando le lucide, potenti, indimenticabili parole di Manuela.
“Il diavolo è nei dettagli?”…
Chi è il vero mostro? L’assassino, reale o (in)esistente nelle fantasie di chi li/lo crea, oppure la coscienza distorta di chi, a torto, vorrebbe avere ragione? Dove si annida… la verità? Elude, evadiamo, schiavi delle gabbie, del manicomio dei normali matt(ato)i quotidiani. Nascosti, altrove, qui, illusoriamente, e le spregevolezze, le piccinerie s’accavallano, tutti se la tiran da grandi uomini, forse lo sono, potrebbe essere la risposta, probabilmente corretta di sbaglio colossale. I titani decidono, lo squalo della vita mangia l’oceano e la sua coltre buia…
Ancora citando l’autrice… i nostri pensieri sono come mentine dal sapore del lutto…?
Manuela Paric’ stupisce con uno stile che incolla letteralmente gli occhi del lettore alle pagine, le sfogli… dai primi capitoli brevi, concisi, efficacissimi, poi a dilatarsi nei dialoghi secchi, “al rasoio” e al vetriolo di capitoli via via più lunghi, come una crescente suspense che aumenta e ti possiede, ti avvolge nella sua spirale fascinosa, odorandosi in una narrazione veloce, scattante, “squittente” l’eco tetra di un colpo allo stomaco essenziale, sobrio ma da farci crollare, alla scoperta… forse di noi. Permeato dentro un’atmosfera opaca, udente l’ospedale dei matti…, del sociale martirio di noi tutti, ecco che procede vigoroso e zampillante, perfettamente intrecciato al violento, voluto retrogusto asettico, rancido, da iniettarci il sangue vivo e perfino crespo del pallore illuminante a nostra anima ferocemente, atrocemente scolpita nella bellezza.
Come appunto il dubbio che insiste, ci pervade, non ci dà tregua. Ci lacera, ci dilania, ci strozza, ci rapisce, ci stupisce, c’incanta e incatena, come dico io, ci travolge e stordisce. Ci spegne o con furia ci possiede e incupente c’accende.
Chi, se non Manuela Paric’, nel 2014, userebbe poi una prosa semplice, diretta, spiazzante e fluidissima virando a improvvise, eppur intonatissime, parole arcaiche come ad esempio “munifico”?
E potrebbe, pur rimanendo coerente con un registro alto, cambiar al contempo la “metrica” della prosa sua stessa, rendendola prima “giallistica” poi, in alcuni punti entusiasmanti, addirittura finemente satirica?
Trovatemi un’altra autrice e vi pago io stesso il libro. Perché dovete averlo.
E trovatemi anche, se vi riesce, sì, vi sfido, un’altra autrice che nello stesso romanzo infila tre nomi così eterogenei in altrettanti personaggi indimenticabili, Tessuto, l’imprendibile, Bianca Bianchissima, la dottoressa (non) pulita dentro e lo sfuggente Jean-Luc.
Buona ricerca.
Così come il dubbio ci costringe inevitabilmente ad affascinarcene, “L’enigma delle anime perdute” è una certezza indiscutibile.
Masterpiece!