La par(ab)ola di Gran Torino
di Stefano Falotico
Perché Gran Torino è uno dei film più importanti della Storia del Cinema? Perché…
Quando si sconfina, un vecchio guerriero, nell’anima più giovane di tanti ribaldi teppisti, riemergendo come un fantasma, fra la putrescenza dell’omertà (in)cosciente d’una cittadina che fa sventolare la bandiera americana a stelle molto sbiadite del clima sotterraneo di piccole e grandi violenze taciute, strisciando egli stesso a monito babau d’una notte fervida e latrante ira tremante, ripulsante in crepacuore per l’ennesimo, imperdonabile sfregio, compirà la carneficina bianca, a virtuoso, valoroso marchio sacrale del sigillarsi nella bara da (non) morto evanescente di sua vendetta sottile, meticolosa, pianificata da giorni con un’acutezza da gelar il sangue dei vigliacchi, dissotterrando l’ascia di guerra in un assalto predatorio da straniero senza nome, ad elevarsi divinatorio alla punizione biblica del doloroso, afflittivo scagionarsi dai suoi errori ma soprattutto a porre fine all’indicibile, non detto, (s)premuto orrore asfittico, scagliando(vi)si contro… Con una spietatezza terrificante, crepuscolare, ammutolente, d’una finissima intarsiatura della sua anima indelebilmente screpolante, gocciolante la repentina, (in)ferma, furiosa rabbia strizzata nel non più cheto addomesticarla, al sin ad allora pacioso frenarne l’istinto esplosivo di vendetta, al fine proprio di sopprimere, finalizzare il desiderio suo intimo e scalpitante, castigato nell’aver affievolito il tonante, interiore non averlo sviscerato, bensì inespresso, oppresso, sedato e martirizzato per il solo gentile… timore di suicidarsi… se l’avesse in sé fatto esplodere!
Sì, dopo tanto gelo nelle sue ossa, Walt passeggia senilmente rannicchiato a guscio, sputante sol borbottii e singhiozzi livorosi d’asma polmonare e cuore strangolato dalla sua peggior paura, tornare nella giungla delle mostruosità, perché non vuole più confessare al prete, e soprattutto alla sua immagine allo specchio, il cane di paglia che prova incessantemente a reprimere, logorandosi contorto dall’ingannarsi ancora, mortificando la natura violenta sua e di noi tutti, quella sana voglia primitiva, sana e recondita, atavica e profonda dell’uomo, cioè il pareggiare selvaticamente le ferite inferte, avvincendole al delirio d’onnipotenza di chi, in stato di forza maggiore, quando l’orrore è troppo e nessuna sa(n)tità o ponderatezza del diplomatico cheto vivere potrà mai rimarginare il taglio, l’amputazione di un’anima scannata dai cannibali, (non) sanerà.
E lì, il suo vecchiaccio odioso, misantropo, eremita, sgualcito, flaccido, rancoroso, inviso e, sì, emarginato perché forse incarna soltanto la personificazione di tutto ciò che gli altri oserebbero dire ma non diranno mai a difesa di quei tabù tenuti nascosti, raggelati da una coltre di vacue, vanitose apparenze, di spiritosaggini frivole e pettegolezzi (a)normali, solo per la preservazione d’una integrità (im)morale già andata a farsi fottere dal lor primo bugiardo respiro, in quel luogo solitario, da mezzanotte nel giardino del bene e del male, rinascerà a salvazione sua e di tutte le impunite crudeltà d’animali… quelli che noi, invero e in ventre, siamo… anche se men(t)iamo.
Scabrosità… nessuno osa sporcarsi le mani per sporche, (in)visibili faccende che (non) li riguardano e (non) li toccano. Bruciano lo scandirsi giusto del rintocco ché tutti (ri)fuggono. Così è la vita e avanza la processione dei morti, segregati in eburnee, sì, nerissime villette a schiera che celano la fosca discesa infernale delle loro anime consacrate al mystic river, alla liscezza orripilante, mentitrice e appianante dell’ipocrita, menefreghista rabbonire le ingiustizie a seppellirsi nel panta rei del mutismo, delle bocche cucite, del farsi male stando zitti ma assurdamente non proferir neppur un fiato ché non è da irrorar l’anima silenziata con l’urlo della verità che invece lì sotto, seppur assopita, gelidamente smorzata dal triste buon senso, annacqua e non s’infuochi… Si son spenti, si son immolati all’arsione dei loro cuori pur di (non) patire l’espiazione del davvero guardarsi dentro, spiarsi e scovare il mostro che hanno rinnegato pur di vivere… pur di così morire nel brindare già blindati, ora dopo ora, lune in tanti soli… sempre più opachi, perennemente già incanalati nel fango del virale morbo della contraffatta, in tal (s)fatta, vita stessa ingannata.
Ecco, Walt Kowalski. Un tizio da ospizio, da casa di cura, un ferro arrugginitissimo buono solo a sputare… non sa più nemmeno sparare fra chi spar(l)a, imbraccia il fucile se ode i ragazzini far casino, ma non (s)preme… è il grilletto parlante a sussurrargli di tener ferma la mano. La mano trema, la mira tentenna di (non) inquadrarla più come prima.
Lascia stare, lascia perdere, lascia che tutto sia… orrore.
Ma qualcosa ti ha disturbato, non so cosa ma qualcosa ti ha disturbato… si son rotti gli equilibri, dirompendoti nell’anima uccisa da una violenza tanto glaciale da farti (ri)vivere.
Allora, tutti sanno… quel che fastidioso, terribilmente irritante, tutti provano a fermarti ma non si placano le voci del silenzio in te gridanti.
Ti rechi sotto la casa di quelli là.
Implori loro di confessare. No, non è vero.
Stai chiedendo loro di ucciderti…
Perché, ammazzando il lupo cattivo, libererai ogni Cappuccetto Rosso che è stata sbranata dai cacciatori…
Regalando alla giovinezza, ancora inviolata, il suo volo libero.
Ecco perché Gran Torino è uno dei più importanti capolavori. Non solo del Cinema.
Perché in questo film, come dicono gli imbecilli che si credon dritti, la noia, ah ah, regna sovrana, infatti non succede nulla.
Proprio un cazzo di niente.
Ora, fratelli della congrega, prima di concludere la mia omelia, voglio narrarvi questo…
Anni fa, dei balordi, lordanti un’anima, risero sotto i baffi, tranne uno di loro. Lui pianse.
Perché quell’uno… conosceva la “vittima” meglio degli altri e, fissandolo, pensò: state ridendo del suo “mulo”, e pensate che tornerà con la coda fra le gambe, incassando le risate e continuando a (soprav)vivere stando muto…
No, vi state sbagliando, lui tornerà, sarà anche fra decenni, ma tornerà.
Stasera muore lui, noi invece siamo già morti…
Parola del Signore…
Scambiamoci un segno di pace…
E così sia…
Ma, proprio sul finire della messa, un (in)fedele alzò la mano e mi po(r)se… una domanda…
– Maestro, la sua parabola non mi è piaciuta.
– Perché fratello non ti è piaciuta?
– Perché questa storia è vera, non è un’alleg(o)ria…
– Infatti, hai ragione. Ma ti dirò una cosa. Vuoi sentirla?
– Prego, maestro. Mi dica.
– Anche tu hai mentito.
– Perché maestro avrei dovuto mentire?
– Questa storia ti è piaciuta più di tutte le altre mie prediche… è così, vero?
– Maestro, mi duole ammetterlo ma questa storia è la più bella, perché è la triste, giustissima verità.
– Lo so, fratello, lo so, fratello. Ora, la messa è finita…