Ritratti d’attore, il grande Willem Dafoe

Dafoe

di Stefano Falotico

 

Fra gli attori indimenticabili, ce n’è uno che non viene quasi mai citato perché il suo volto, incastonato in nervi che si accartocciano in essiccazione marmorea sgualcente labbra cremisi, sottili, incendiarie, a libagione irsuta e tensiva di un suo cuore sempre scalciante rabbia, trattenuta, ponderata, esplodente in sopracciglia incornicianti iridi suadenti da vampiro cristologico, da Satana e Arcangelo, da emissario crudele d’un Dio spietato, è unico ma di una unicità troppo perlacea e labile, troppo inafferrabile per mai aver potuto ambire al ruolo da “copertina”.

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E allora il nostro Willem diventa il Gesù più terreno dello Scorsese più controverso, (in)scritto nel Paul Schrader più sanguinante pulsioni oscillanti fra la carne e la spiritualità combattuta, spezzata dentro inevitabilmente, inguaribilmente da conflittualità insanabili, acute, taglienti l’origine umana dell’imbattibile scontro fra santità e peccato, fra desiderio legittimamente carnale e la predestinazione divinatoria d’una purezza che non può essere. Insomma, un Amleto in abiti da martire, da irruento selvaggio turbante, da anima perennemente turbata, distrutta da troppe pulsioni che l’uomo, in quanto limitato per sua stessa natura corporea, per suo infrangibile capriccio istintivo di vita e godimento, che può affannosamente reprimere ma, violento, primo o poi spaccherà gli argini del “contenimento”, non potrà mai soffocare. Anzi, maggiore è la sua voglia di casta ascesi e più potente sarà l’urtante urlo ribelle, più tentato tenterà di placarsi e più erosivi e impressionanti, in deflagrante devastazione interiore, saranno i suoi (s)colpiti lineamenti. A “intarsio” del conflitto, delle fitte, della Pentecoste incarnata.

Conoscete meglio di me che Willem ha lavorato coi più grandi cineasti del nostro tempo. Per molti di loro è diventato, oltre che amico nella vita privata, quasi una sorta di feticcio, di mascotte immancabile. Penso al già citato Schrader, a Wes Anderson e ad Abel Ferrara.

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Ed è appunto (in)naturale che si verifichi questo, proprio perché il suo viso è l’incarnazione (in)espressiva, (im)mobile, impietrente e impietosa, straziante ed ieratica di ogni grande fantasia umanistica da poter plasmare nel Cinema che si fa proprio carne, si fa Sguardo, si fa (sovra)impressione.

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