Clint Eastwood Tribute
di Stefano Falotico
Clint Eastwood: in attesa di Jersey Boys, un musical sui generis, una veloce, schietta retrospettiva sulla sua visione crepuscolare del Cinema e della vita, prospettive morali
Mi ricordo…
Un tiepido, lunare, già vicino al mio licantropo, anno dominus del lontan ’92, quando il signor Clint, argentato di già capelli seriosamente brizzolati, con grande portamento, essendo egli il cavaliere pallido, salì le scale d’un teatro famosissimo, e afferrò il suo primo Oscar da regista, d’un Unforgiven stupendo, ineguagliato tutt’ora, sibilando in sua altezza nobiliare la marcia “funebre” d’u genere, il western, pressoché deceduto, a cui non crede(va) più nessuno e sul quale invece il Clint sigillò il marchio definitivo, oserei dire ermetico, anche in senso figurato, del suo impeccabile stile fra l’epico del cavallerizzo leoni(a)no che fu, la maturità lancinante e avvolgente tutto il suo excursus da revenant, memore delle sue prime “artigianali”, rugginose, “impolverate” già regie profetizzanti, e la quadratura del cerchio, abrasiva, taglientissima, spietata appunto, a monumento insindacabile di quella statuetta finalmente sacrosanta. Inappellabile vittoria (d)istruttiva, come dico io, da “Calibro Magnum”, da Callaghan vendicante tutto ciò che l’Academy prima trascurò e ignobilmente snobbò, sbuffandogli addosso solo un “distint(iv)o” da monsieur un tantino “reazionario”. Che madornale errore “impagabile”, risarcito però dal giustissimo colpo d’avergli assegnato appunto il dorato Oscar. Uno dei più meritati, anche coraggioso, anche a vedere oltre, per una buona volta. Perché, da allora, il nostro Clint non ha più sbagliato un solo “tiro al bersaglio”. Definendo la sua Arte assoluta, maiuscolissima da cineastico, “freddo” romantico catturante il blood work focale d’una perfezione devastante.
Un Cinema grandioso, magnificamente realista con superbi picchi commoventissimi di poesia vertiginosa, da spaccarti le iridi in mille pezzi soavemente profumati, squaglianti amore puro da riservargli d’eterno riverirlo e poi repentinamente coagulanti in vivida ammirazione sconfinata. E, prostrati al suo divino insegnamento, in sua onorificenza, noi, fratelli della sua congrega, vogliamo così omaggiarlo, celebrando tosto le opere già intoccabili del nostro ma anche decretando, altresì maestre e maestose, quelle tutt’ora, altro abbaglio imperdonabile, considerate “minori”.
Su Un mondo perfetto, I ponti…, Mystic River o Million Dollar Baby, mi parrebbe pleonastico ancora spendere ulteriori, (in)utili parole, ché già ne ho celebrato i fasti nel mio lirico saggio “Clint Eastwood, ghiaccio arcano di romantici occhi”, disponibile su lulu.com.
E Clint ama, come me, dire sussurrante senza ricamarci troppo sopra, essere incisivo senza troppi orpelli o retoriche a imbrodarsi.
Mi concentrerei invece, in maniera secca, veloce, rapida e morale, come il Suo Cinema diretto e senza troppi tronfi fronzoli, appunto sul Clint quasi “ignorato”, elargendo tre aggettivi cercanti la definizione al contempo adorante e oggettivamente sentenziante.
Una sobria dedica scritta e “diretta” dall’elegante Stefano Falotico