Maps to the Stars, recensione

Fine maggio 2014

Fine maggio 2014

Cronenberg e del suo sguardo planetario incredibile, ipnosi psicanalitica ai bordi d’una Hollywood bruciata viva

di Stefano Falotico

 

Pomeriggio memorabile, da ricordare innanzitutto d’aneddoto amicale…

Attendo un mio amico, infatti, che da Este è giunto a Bologna in treno, andando a prenderlo alla stazione centrale di Bologna. Ci rechiamo supersonici al cinema The Space e attendiamo due ore prima dell’apertura dei cancelli, scatta l’ora x, 14.50 in punto, dieci minuti fra biglietti, toilette e posizionarci nelle poltroncine. Calan le luci e il sipario inizia per venti interminabili minuti di pubblicità. Alla fine, menomale, stanchi ma entusiasti, assistiamo all’ultimo capolavoro di David…

 

La trama oramai era stata diramata ancor prima dell’ufficiale proiezione a Cannes, dai cinefili imparata a memoria, guai comunque in vista per chi non l’ha visto, sciagurato lo è e s’affretti a riparare, il mio è un imperativo d’ordine plebiscitario.

Scarna d’effetto “nausea” nell’implosione incancrenente di personaggi fauneschi in quel della “luminosa”, scurissima, mai così asettica Los Angeles. “Arredati” solo di sé. Un’attrice fallita, un guru fisioterapista, un autista di limousine con ambizioni anch’egli attoriali e il sogno nel cassetto di divenir un pezzo grosso come scrittore, “riciclando” l’esistenza apatica dell’abitacolo da tassista fra viali ripresi di scorci suggestivi ma decadenti, imputridenti di latente deflagrazione d’una coralità nei lor denti stretti, nelle loro vite ambiziose sempre sull’orlo del collasso stressante, poi una ragazzina piromane, dimessa dal manicomio e “tornata a casa”, (non tanto) a posto rimessa, un enfant prodige suo fratello con turbe allucinatorie alle spalle, anoressico e anche lui non raddrizzato e storto, e una “filastrocca” invadente, ammonente che torna sovente a colorar anime già svanite da sempre…

 

Sui miei quaderni di scolaro

Sui miei banchi e sugli alberi

Sulla sabbia e sulla neve

Io scrivo il tuo nome…

(Paul Éluard, “Libertà”)

 

Echeggiano sempre i fantasmi, sono esseri infidi che camminano come zombie, ibridi dunque tra la forma umanoide e l’aldilà oltrepassato d’ogni pudore tranciato. Rifiuti della tossicità malsana di cui il mondo, non solo moderno ma, dall’albore primordiale dell’ere torpide e cupe già avvelenate da un’irrimediabile primitività putrescente dell’animo nostro corrotto, fu invaso senz’ombra di dubbio, perversamente gironzolan(d)o nell’arido panorama all’apparenza “stellare”. Lombrosiani, scarniti d’ogni umanità, solo marcescente parvenza che raggela, “grumo” d’ossa spolpate dalle crudelissime ambizioni, divorazioni a (vi)cen(d)a di cannibali “guarniti” d’abiti finto eleganti, pacchiani, sguaiati, mai guariti, fintissimi, manichini ad orchestrare i loro cuori anneriti, illusi d’esser dom(in)atori del gioco da ex attori di “classe”, forse mai lo furono, e i visi sfumano, agghiacciandosi, nel de profundis più gastrico, purulento ed eruttivo di cattive ansie, di fetido dolore asmatico, di maschere d’ossigeno su grottesche, inguardabili tragicommedie da liberi in gabbia, imprigionati dalla “bioetica” delle logiche dello star system ove, se non sei più sulla scala dorata, almeno devi reggerti, anche di plastica, la faccia troppo levigata, esper(i)ta di respirazioni strozzate nel sangue malato, in vitr(e)o, sventrandoti a fuoco lento di costipazioni poi esplosive, che ti/li (de)nutre, sia(n) loro da stronzi (s)fatti e rettili, noi nel disgustarli e violati in vomiti, conati, lacerazioni sfilaccianti, tumefazioni e logoramento straziante, strangolandoli, in cordoglio freddissimo. A chirurgia dell’esser(ci) tutti smembrati.  Anzi, costellati di glorie lor lo furono, schiacciati nell’impresso loro “balsamo” già a mummificarli, all’asciuttezza lapidaria, singhiozzante solo l’imbarazzo e il gelo nelle scricchiolate nostre ossa dell’esterrefatto, essiccante prender coscienza dell’inevitabile, apocalittico, sigillante e ardentemente ermetico finale-funerale tremendo. Senz’unzione assolutoria, senza bontà consolatorie. Un’eruzione di tutto il male, il male della Los Angeles a prima vista luccicante, invero bestiale… Pazz(esc)a idea di Bruce Wagner e le congestioni dei marci fegati marciano in processione di cere che una volta c’erano… delle stelle. Il firmamento è ora buio acceso di lor firme color tenebra (di)struggente. Prima il successo, quindi il consumato e consumante sesso, le bruciature, il crollo di nervi, la “piromania” dell’adolescenza dalla fiamma troppo viva per spegnersi nell’asettico arredamento lindo, astringente di specchi troppo puliti per non romperti scarnente di vetro acuminato a doppio taglio. C’è un’urgenza, impasticcate e sedateli. L’asettica vita perfetta è un diamante pungente, taglientissimo, un rasoio affilato come lo sguardo profumo lama d’un Cronenberg d’annata. E sia benedetto questo incompreso suo altro capolavoro a noi stupendamente straziante. Maleditelo e David se ne freg(h)erà delle vostre risate additanti. Ardite ad arderlo, a coprirlo d’infamie e a cancellarlo subito dalla vostra memoria. Sì, è un perentorio ordine perché non ve lo merita(va)te e quindi è giusto che (lo) dimentichiate. Perché se sfegatati fanatici della sua Arte dapprima vi dichiaraste, così scelleratamente da bifolchi stroncandolo senza mezzi te(r)mi(ni), io vi dico che del suo Cinema non avete mai capito un beneamato cazzo. Siete dei vermi striscianti, delle termiti falsamente adoranti, siete pieni di boria, dunque non vivete, e in verità vi rivelo che le cialtronerie, con cui vi (s)coprite, son solo borchie della vostra pelle neuronale morta. E non chiamatelo ex vostro beniamino. Non v’azzardate! Voi, infingardi fan dei vostri co(s)mici vuoti, voi, pneumatici, fingeste di conoscerlo soltanto leggendo topos di frasi in calce come “nuova carne” e “mutazioni transgenetiche” da avidi topi di biblioteca senz’alcuna dignità né palle. Non avete mai vissuto né poteste dunque sentirlo! Il Cinema non è un Bignami, figuratevi se pot(r)e(s)te ubicarmi David in vostri laboratori di chimiche critiche, di frasi fatte, puzzate di scadenza, di superficialità densa, di copia-incolla da qualche rivista in ogni sen(s)o di “moda”. Di ciò che fa tendenza e dunque boccia, sboccatamente, quel che considera superato, scaduto, invero sempre troppo veloce di tempo suo in avanti, rivelatorio a profezia del Cinema puro e d’avanguardia tanto semplice d’apparir un ritratto fotografico sbiadito e senza nerbo. Ah ah, che immonda superficialità come la scritta troppo “pulita” di Hollywood che alberga sulla famosissima collina e a me invece incute timore, cupezza, opalescenza, imbruttimento di ogni umana trasparenza, (in)decenza della buoncostume perché tutto il film, dal primo all’ultimo minuto in gola, è un monito così fulgido da bucarti la retina oculare e divorarti il fegato. Hollywood e la sua scritta gigantesca, minuscola se guardata in tale prospettiva, prima sobria al mattino e poi notturna, (s)cremata fosca, nel bacio fra due amanti (s)finiti. Già dapprincipio ischeletriti. Uno specchietto per le allodole, un pugno in un occhio di lettere cubitali al mondo e al suo ineludibile format(o) cubo, con le sue regole prefabbricate, immutabili, ansiogene ma che non evacuano mai il vero, tenendo tutto dentro per la “copertina”, ove i “divi” firmeranno sempre autografi d’inchiostro, troppo nero, colore buio avvolgente, per mangiare i fessi che li osannano sol adocchiandoli d’ammirazione su “Vogue”, sognando le loro o(stri)che e le lor invidiate cene da vongole e ripieni ché sarà solo una grande abbuffata e, tutti giù per terra, daremo assieme di stomaco! Vomitando assieme “allegramente” il marcio di tanta patina che addolcì le nostre intestina, sbudellandole di dolce, svenevole, precipitante ipocrisia. Ed è urlo! Ferocia del dissanguamento dei visi “celebri”, appunto delle arse cere, del passato che giocoforza (ci) smembra, il rimembrar com’eravamo e come, rovinando nella perdizione delle dissipatezze, della frivolezza più appariscente, che fa solo inutile, pacchiana, parassitaria (s)cena, cimiteriale c’augura una beffarda morte annunciata. Una tragedia mondiale, un orrore di proporzioni bibliche. Se nella Bibbia, le rane caddero dal cielo contro i faraoni egizi per avvertirli d’una imminente ribellione storica degli ebrei, qui il “Mar Nero” sommerge tutti di fiamme divine cattivissime. Un deus ex machina impietoso, flagellante, un fulmine potentissimo dal quale non puoi salvarla e crepi anche tu, crollato, un colpo letale che non perdona nessuno. Assolutamente!

No, ritorniamo “indietro”. Tutti malati, dei “viventi” in abiti “normali”. Degli essi vivono… Dei cannibali sofferenti la facciata proprio della doppia apparenza da (bi)fronti. Oddio, mi sa (e)ruttanti anche l’acuta, crescente, a lor scarnificante demenza. Scusate, mi sto troppo scaldando! A sentirne così lapidariamente parlar nei vostri scortesi, irriguardosi modi, miei merdosi, mi vien il sangue al cervello. Che esploda(no), scanners! Siete terminati, su di voi è già calato il velo pietoso. E la mannaia da lupi mannari che alla mia lupara non fa paura! E io v’ho seppellito perché ho deciso. Chiuso, siete finiti!

 

Amen.

 

Dopo l’omelia, osanna a David! Cantate e vogliatene tutti! Questo è il suo “corpo” offerto in sacrificio per voi.

E si apran perciò le danze alla recensione brillante, miei spenti internauti delle tristezze più a volerlo vanamente affondare.

Io ho sentenziato. Chi non accetterà questo mio colpo d’accetta, che accetti, altrimenti, prima il mio (ri)getto e poi soffocato sarà nel cassonetto. Poveri cazzoni da cinemino di cassetta e cazzatelle.

Nel retro, falsi vati, siete più tetri dei personaggi di tal altissimo film.

Apertura…

No, finisce qui. Non c’è molto da dire. Era prima che il danno si compì, il resto è Dio David che guarda col solito sguardo ginecologico ed estrae il parto malsano della società sifilitica. Estraendo il figlio dei vostri demoni, grida d’immagini che imprimono male, curando però la beatitudine degli eletti che, incantati, estasiati, s’inchinano al cospetto del suo lucidissimo, prodigioso aver visto ancora una volta giusto.

E Dio va adorato. Senza se e senza ma.

Così è, così sia scritto. Incorniciate Maps to the Stars nell’empireo ed esigo una cornice lucente come la stella e non le scialbe, putride lor hollywoodiane stelline da fuochi fatui, da chi contrasse il morbo contrattuale di Faust nel mefistofelico aver ceduto alle lusinghe del s(ucc)esso, dell’avidità, dell’effimera “celebrità”.

Ora, silenzio.

Titoli di coda… con Dio Cronenberg che li fa scodinzolare in diabolica dissolvenza.

E si riaccenderanno le luci, accecandoci della vita (dis)umana.

Così sempre andò, questa è la fottuta evoluzione delle atrocità incarnate nell’uomo bestia…

Non rimane che urlare, già morti…

Sepolti, (dis)illusi…

 

… Su tutte le pagine lette

Su tutte le pagine bianche 

Pietra sangue carta cenere 

Io scrivo il tuo nome

 

Sulle dorate immagini 

Sulle armi dei guerrieri 

Sulla corona dei re 

Io scrivo il tuo nome

 

Sulla giungla e sul deserto 

Sui nidi sulle ginestre 

Sull’eco della mia infanzia 

Io scrivo il tuo nome

 

Sui prodigi della notte 

Sul pane bianco dei giorni 

Sulle stagioni promesse 

Io scrivo il tuo nome

 

Su tutti i miei squarci d’azzurro 

Sullo stagno sole disfatto 

Sul lago luna viva 

Io scrivo il tuo nome

 

Sui campi sull’orizzonte 

Sulle ali degli uccelli 

Sul mulino delle ombre 

Io scrivo il tuo nome

 

Su ogni soffio d’aurora 

Sul mare sulle barche 

Sulla montagna demente 

Io scrivo il tuo nome

 

Sulla schiuma delle nuvole 

Sui sudori dell’uragano 

Sulla pioggia fitta e smorta 

Io scrivo il tuo nome

 

Sulle forme scintillanti 

Sulle campane dei colori 

Sulla verità fisica 

Io scrivo il tuo nome

 

Sui sentieri ridestati 

Sulle strade aperte 

Sulle piazze dilaganti 

Io scrivo il tuo nome

 

Sul lume che s’accende 

Sul lume che si spegne 

Sulle mie case raccolte 

Io scrivo il tuo nome

 

Sul frutto spaccato in due 

Dello specchio e della mia stanza 

Sul mio letto conchiglia vuota 

Io scrivo il tuo nome

 

Sul mio cane goloso e tenero 

Sulle sue orecchie ritte 

Sulla sua zampa maldestra 

Io scrivo il tuo nome

 

Sul trampolino della mia porta 

Sugli oggetti di famiglia 

Sull’onda del fuoco benedetto 

Io scrivo il tuo nome

 

Su ogni carne consentita 

Sulla fronte dei miei amici 

Su ogni mano che si tende 

Io scrivo il tuo nome

 

Sui vetri degli stupori 

Sulle labbra intente 

Al di sopra del silenzio 

Io scrivo il tuo nome

 

Su ogni mio infranto rifugio 

Su ogni mio crollato faro

Sui muri della mia noia 

Io scrivo il tuo nome

 

Sull’assenza che non desidera

Sulla nuda solitudine 

Sui sentieri della morte 

Io scrivo il tuo nome

 

Sul rinnovato vigore 

Sullo scomparso pericolo 

Sulla speranza senza ricordo 

Io scrivo il tuo nome

 

E per la forza di una parola 

Io ricomincio la mia vita 

Sono nato per conoscerti 

Per nominarti 

 

Libertà.

 

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