Discussione Facebook su Qualcosa è cambiato, poveri faccioni da fessi e poche femmine
di Stefano Falotico
Uno degli Oscar più discussi “avvenne” nel 1997. Ce l’ho stampato nella memoria indelebilmente. Molto criticata fu infatti all’epoca la scelta dell’Academy di premiare Jack Nicholson per As Good as It Gets. Jack che, dopo il meraviglioso Voglia di tenerezza, sempre di Brooks, riceve il suo terzo Oscar, entrando nella Storia…, vincendo appunto stavolta ancora come “Protagonista”, come successe nel ’75 per quel capolavoro immortale che è Qualcuno volò sul nido del cuculo.
Caso ancor più raro e “speciale” perché tutte e tre le volte ha vinto per aver interpretato un “pazzo”. Un pazzo per la gente superficiale.
E ora mi scannerete perché (non) “bestemmio”. Il personaggio di Melvin Udall è psicologicamente superiore al seppur mitico McMurphy della pellicola di Forman.
Melvin, una contraddizione vivente, infatti. Un ruolo che solo Jack Nicholson poteva sostenere. Perché, nel suo viso, nelle sue movenze, nelle sue sopracciglia da “morbido” lupo/etto, è incastonata la vita. Il grande, enorme Jack che imparò dunque la lezione di recitazione che il suo amico Marlon Brando gli confidò durante una pausa della lavorazione di Missouri. Lo prese in disparte e gli disse cautamente che un attore vero non ha bisogno, in realtà, di belle parole da pronunciare. O, meglio, se la sceneggiatura è strepitosa e le battute, che dovrà recitare, son state scritte da un’ottima penna, semmai dirette da un regista coi fiocchi, ecco, naturalmente l’interpretazione ne giova sensibilmente. Ma il punto è che un grande recita con gli occhi, con le espressioni del viso, deve trasfondere l’anima della vita nello sguardo e “proiettarlo” d’empatia agli spettatori. Sì, Marlon disse questo a Jack. Che era davvero bravo ma doveva migliorare. Doveva imparare a parlare con gli occhi, non solo con le smorfie e con la bocca. E se lo diceva Marlon, uno che recitava dondolando solo il capo o aggrottando in svariati modi la fronte nel sedurci tutti a sua nobiliare, irraggiungibile altezza, Jack non gli poteva che dar ragione da vendere… e anche noi!
Così, pian piano, (im)percettibilmente, Jack si perfezionò. Un cambiamento (in)visibile, discreto, “in sordina”. Era già uno dei miei migliori ma forse Marlon gli “tolse la parola di bocca”… di troppo, Jack dunque divenne più sottile, più sofisticato, ancor più fascinoso, ermetico, e gli bastò soltanto muovere con delicatezza le labbra, coniugandole al suo celeberrimo sorriso ambiguo, gli bastò “solo” ammiccare per elevarsi incommensurabilmente, immerso a nostro “scioglimento”.
In Qualcosa è cambiato, questo stile (r)affinatissimo, toccò appunto la vetta. Sbraita, sì, si dimena scompostamente ma poi sta zitto per interminabili, sensazionali secondi in cui, mutando addirittura nel colore dei suoi occhi, smalta di traslucido l’anima di un personaggio “piccolo piccolo”, pieno di complessi, di paure, un misantropo “stronzissimo”, un “pirla” di proporzioni mondiali, incredibile per come “ci è o ci fa (?)” con strafottenza da lasciar rabbrividiti, un personaggio sbagliato, “cattivo”, (in)sopportabile, in “poche parole”… gigantesco.
Stamattina, su Facebook, s’è scatenata appunto una faida tra cinefili. L’altra notte, infatti, un mio contatto, a quanto pare, ha rivisto proprio Qualcosa è cambiato e, avendolo rivisto, conferma il suo primo “visto”, cioè ribadisce che, secondo lui, è un film magnifico.
E, per tale sfrontata affermazione da “folle”, sotto il suo post… piovono commenti formato pietre a “linciarlo”.
Ah, bello mio, dovresti rivedere Billy Wilder per capire cos’è un filmone. Non questa “roba”, melassa furba e cinismo all’acqua di rose.
Etc, eccetera… e via dicendo a dargli giù!
Altri “insulti” (s)velati, con tanto di nomi “senza vergogna”.
Al che, intervengo io, e li blocco subito, dando ampiamente ragione al mio amico.
“Afferro” una clip da YouTube e la piazzo lì, la clip del più bel complimento della vita.
Nicholson ed Helen Hunt, seduti al ristorante, forse han fatto pace? Ri-vediamo la (s)cena al “ralenti” delle emozioni.
Nicholson fissa Helen a suo modo, a suo Melvin… la sua amata-non amata-chissà se lo ama o è (in)decisa.
– Allora, adesso sto per farti un gran bel complimento. Ed è la verità.
– Ho tanta paura che dirai qualcosa di orribile.
– Non essere così pessimista, non è nel tuo stile. Ok… te lo dico… faccio sicuramente un errore. Diciamo che io ho… cos’è? Un disturbo? Il mio dottore, uno psicanalista dal quale andavo sempre, dice che nel 50/60 per cento dei casi, una pillola può aiutare molto. Io odio le pillole, roba molto pericolosa le pillole, odio…, bada bene, uso la parola odio apposta quando parlo di pillole. Odio! Il mio complimento è che quella sera… che sei venuta da me e mi hai detto che non avresti mai… be’…, insomma, tu c’eri quella sera e lo sai quello che hai detto… be’, il mio complimento per te è che… la mattina dopo, ho cominciato a prendere le pillole…
– Non capisco come possa essere un complimento per me?
– Mi fai venire voglia di essere un uomo migliore…
La risposta di Helen Hunt, commossa come noi, la sapete tutti.
Applauso! E lacrime a gogò.
Che classe! Che regia, che scelta appropriata della musica in sottofondo, che duetto d’attori impagabili. Che “lentezza” da pelle d’oca prima che arrivi la botta emozionantissima.
Nonostante ciò, un tizio, sempre su Facebook, non è stato persuaso che dovrebbe rivedere il film prima di stroncare “a bestia”.
– E con ciò, Stefano? Una scena furba, ribadisco.
– Ah sì? Tu come l’avresti girata? E, soprattutto, sei sicuro che saresti stato più bravo e convincente di Jack?
– Sì, è fintissimo in quella scena. Io avrei detto alla Hunt: “Basta girarci attorno, non sei una modella, sei anche troppo magra e sospettosa, ma sinceramente, dopo la cena a lume di candela, voglio accendertela…”.
– Davvero? Tu l’avresti “girata”, dicendole questo?
– Sì, certamente. Senza questi infingimenti da Cinema “leccaculo”.
– Mi faresti un “favore?”.
– Certo, con piacere, dimmi, Stefano.
– Devo farti il complimento più bello della tua vita.
– Ho paura che dirai qualcosa di orribile. Comunque, spara.
– A “random?”. Come viene-viene?
– Sì, sì, senza formalità.
– Allora, il mio complimento è… sei un bell’uomo. Sì, proprio bello bello.
– Tutto qui?
– Sì.
– Ah, grazie, Stefano.
– Prego.
– Sai che sei il primo a dirmi che sono un bell’uomo?
– Non avevo dubbi.
– Che vuoi dire?
– Che, ripeto, sei un bell’uomo. Sono stato il primo a dirtelo, sai?
– Ti stimo, Stefano.
– Non c’è di che.
– Ma davvero credi che io sia un bell’uomo?
– Sì, certo, vuoi che te lo ripeta ancora una volta? Soffri di mancanza di autostima?
– Grazie, sì.
– Sei un bell’uomo, un bell’uomo, un bellissimo uomo.
– Ancora una volta, ti supplico.
– Sei un bell’uomo. Basta però. Non ho capito, nessuna donna te l’ha mai detto e ora devo essere io a “tappare il buco?”. Oltre al bell’uomo, vuoi anche un tegamino in faccia con le uova?
– Come, scusa?
– Nessuna donna ti ha mai detto di essere un bell’uomo. Te l’ho detto io ma finiamola qui.
– Che vorresti dire? Che non piaccio alle donne? E che c’entran le uova?
– Hai frainteso. Sei un bell’uomo ma, se fossi una donna, ti manderei a fare in culo. Anche la più “gallina” ti strapazzerebbe.
– Uè! Stai esagerando, adesso! Ti spacco la faccia. Ti prendo a pa(de)ll(at)e!
– Vai a lavare i piatti, dai. E non raccontare stronzate. Neanche le stronze possono darti retta, coglione.
Ecco perché James L. Brooks è un grande.
Sa come girare con eleganza, senza questi cazzoni spara-cazzate che ce le fan solo girare.
E si giran i pollici fra una sega e l’altra.
Di loro, parlano e basta, fan prender aria alla bocca di balle e bla, bla, bla.
Non hanno mai scritto un libro, neanche una sceneggiatura per il teatrino parrocchiale, non hanno neppur girato un cortometraggio da prima comunione e, soprattutto, credo non abbian mai avuto una donna. Tranne quelle che pagano o quelle a cui leccano, appunto, il culo.
Questo è cinismo ma è anche buonismo.