Discussioni di Cinema, da Mickey Rourke alla (fanta)scienza sin agli “errori” (in)volontari di (s)cene mantenute imperfette
di Stefano Falotico
Facebook si può rivelare, in alcuni casi eccezionali, particolarmente utile se s’incontrano fortunatissimamente delle persone con cui condividere affinità, scambi di vedute, confronti intellettuali, persone persino con le quali (ri)specchiarsi, appurando reciprocamente similarità emozionali e non, analogie percettive del mondo, sguardi simili sulla realtà, anche sull’aldilà. Perché no?
Da qualche mese, ad esempio, io e un altro scrittore dell’anima, sì, siamo entrambi affascinati dall’esplorazione “universale” del nostro dentro, il più importante spazio ignoto prim’ancor dei viaggi interstellar(i) di Nolan, diciamo che siamo più vicini alla metafisica di Solaris piuttosto che alla fantascienza d’un mondo “moderno” iper-tecnologizzato ma invero più arretrato delle scimmie di Neanderthal, un mondo che par non essersi molto evoluto interiormente nonostante siamo già nel 2014 e 2001: Odissea nello spazio non par aver insegnato a molti che, innanzitutto, per essere uomini, bisogna vedersi nei cuori, solo allora si può “volare”, ecco, da un po’ di tempo… io e questo mio amico, spesso e volentieri, parliamo di tutto, anche di Cinema.
Ieri sera, ad esempio, per strane, (im)previste (circo)stanze emotive di empatia da veggenti telepatici, siam andati a par(l)ar su Mickey Rourke. Niente di più impensabile se consideriamo che eravamo partiti da una banale considerazione che, con Rourke, aveva apparentemente ben poco in comune da “condividere”. Eppur dal “nulla” nacque il disquisir squisitamente di Rourke e di come anche lui sia, in un certo qual senso, un uomo alien(at)o, d’apparentare a un Cinema oramai in via d’estinzione, un Cinema antico, profondo, visceralmente denso di umanesimo, sganciato dalle logiche (im)produttive dell’odioso, contemporaneo modus vivendi, tutto frenesia, feste, balli ribaldi e poca sostanza a conti (s)fatti. Ove ognuno, da esibizionista incallito, usa appunto Facebook come bacheca dei suoi minuti di celebrità nel protrarli a iosa d’inutili egocentrismi aderenti solo all’estemporaneo, arido e non riempiente s(ucc)esso futile, insomma, la virtualità di vite inscatolate del sempre pavoneggiarsi ma, in verità, ancor più a (in)castrarsi. Ove maschi e femmine dalle sessualità (in)distinte, fan sfoggio patetico di “virilità” tremende ché, dopo giornate di lavoro spossanti e il mesto agonizzar in esistenza frust(r)ate, “vivaddio” si spogliano, (non) liberi da occhi (in)discreti, dei loro abiti da monaci, “sfoderano” corpi (im)perfetti a immagine e somiglianza appunto d’un mondo (a)sociale che sembra trovar il suo sfogo nell’urlar volgarmente immor(t)ale, già morto dentro proprio da (ap)parecchio, l’inevitabile sua putrescenza che, imbellettata in maschere di cera oscene, si finge bella ma invero è solo squagliata d’ogni dignità, un mondo turpe, furbo, ah ah, deturpato nell’essenza.
Ah, tutti a indaffararsi, inutile affidarsi alle scienze umane come la psicologia per comprendere il comportamento involut(iv)o di questa “evoluzione” barbarica, prendiam coscienza semplicemente che stiam rinvenendo un’umanità da reperto archeologico, carbonizzata 14, ove i repellenti, bambineschi amori alla Moccia, a confronto, sembrano poesia raffinata e purissima.
Sì, “adulti” regrediti a stati infantili con trombette in mano e donne di settant’anni a scosciar in primi piani aberranti con loro espressioni (s)tinte del tipo: “Amici, vi piace, sono ancora una bella topa?”.
No, sei vecchia, ma i giovani stan messi peggio, tranquilla. Nessun sopravvissuto andando di questo andazzo (es)ting(u)ente. Giovani che, arrivati a una (in)certa età, si guarderan allo specchio e piangeranno di apparenza fantasmatica da “corpi celesti” con vissuti interiori da extraterrestri.
Sì, quest’umanità è fusa.
Io e il mio amico arrivammo a Mickey Rourke, partendo dai “refusi”. Sì, non scherzo, non è un “imbroglio” di p(a)role.
Le bestie nere di ogni scrittore sono infatti i refusi. Controlli il testo mille volte prima di approvarlo per la pubblicazione. Il tuo editor controlla altrettanto e appura che ogni virgola è stata (s)corretta di (s)vista, sì, diamo il visto, tanto l’errore ci scapperà.
Infatti, (ci) sta, eccolo qua, alla riga finale del libro. Hai scritto la parola “Fine” con una vocale diversa, “fune”, ci sarebbe infatti da impiccarsi per questo ma fa lo stesso, dai, sì, in fondo fa licenza poetica. Il lettore riderà ma potrebbe anche rileggere l’intero libro per capire se “fune” è volontario, se il libro è incentrato su un suicida, e dunque obbligandosi a risalire la china dalle prime righe della prima pagina sin appunto alla fine per chiarire il dubbio. E, rileggendolo, ancora una volta, arrivato a quel punto, capirà che è finita. Sì, perché comunque il libro, escluso quel refuso, è la trascrizione di un’anima coraggiosa nel denudarsi, invece il lettore capirà che è lui l’incapace, non solo non sa scrivere, non ha capito che se, involontariamente, lo scrittore non avesse fatto confusione, mettendo “Fune” anziché “Fine”, avrebbe scambiato il libro per una barzelletta da superficiale dell’aver vissuto in quel mo(n)do fin al fatal attimo finale doloroso. Già, rileggendolo, con maggior attenzione, lo capì, finalmente. Poi, prendendo un cappio, (o)mise davvero la parola fine alla sua (prei)storia.
Almeno, è stato sto(r)ico, no?
Sì, oggi vai da uno, gli presenti il “curriculum vitae”, lui legge i “credits” e constata-“tasta” che ti sei “evoluto”. Gli bastano poche credenziali in cal(i)ce per rilasciarti il beneplacito. E questo è male. Sì, perché doveva servire il nero su bianco per non annerirti? Ora, sì, sei meno intimista, più da biancheria intima. Prima ti cancellavano di b(i)anchetto.
Va “bene”, leggo(no) che hai una Laur(e)a in Fisica, ti squadrano e hai anche un bel fisico. Patirai come tutti i colpi al fe(ga)to e poi andrai in pensione da dolori all’anc(or)a chiedente “fame”. Sì, magra consolazione, tutta una vita ad apparir in forma(ggio) nel timone, no, è un (re)fuso, timore di non ingrassare, mangiando solo insalata eppur avendo sempre (ri)fiuto “fino” da (s)porco.
Allora, ben venga lo sba(di)glio. Rourke che, in Angel Heart, sta passeggiando, gli sta scivolando il fazzoletto dal taschino, lui l’afferra di riflessi sempre vigili e svegli, e fa finta di niente. Alan Parker, così come Mickey Rourke, sa che la scena andrebbe rifatta, ma la mantiene invece così, perché fa sempre più spontaneità.
È più reale, vive.
FINE.
P.S.: ora, con questa mi(n)a che volevo dire?
La risposta è come la vedi tu.
Mi sembri di plastica, adesso, la chirurgia ti para di pezze al culo ma non ti salva la faccia della tua anima venduta al Diavolo dalla nascita.