Kenneth Branagh again: l’inverno del nostro scontento è di Shakespeare o di Steinbeck? Anche Thor lo sa, miei “bar(bar)i” ignoranti, siete il not to be m(ent)ale
di Stefano Falotico
Il mondo di oggi è triste…
Colloquio di “lavoro”:
– Lei, quindi, è laureata al DAMS, conoscerà dunque il Cinema di Bergman.
– No, chi è? Un nuovo supereroe?
– Come, prego?
– Berg-man, sì, è un cinecomic diretto da Peter Berg.
– Lei voleva essere assunta qui, vero?
– Be’, è ovvio, altrimenti non avrei fatto domanda di “assunzione”.
– Senta, (pre)vedo la sua vita veramente “invernale” anche se non è sicuramente una “Vergine” di “Annunciazione”. Oggi, lei ride e scherza e fa du’ pompini a uno come “lei”, “laureato” con tanto di “lordo”. Ma, arrivata a cinquant’anni, credo che sprofonderà nella depressione più “solare” perché tanto “mangiare” porta a “farsi trombare” e basta. Finita la “pacchia”, finirà inchiappettata a riscaldar i ce(n)ci nella pasta. “Evviva” le impestate! E “La tempesta!”. A proposito, domanda di “riserva”, che è lei già in panchina…, ha visto Solaris?
– No, ma ho rifatto il solaio e non sono mai (i)sola(ta), mi riscaldano tutti coi loro “pennelli” solari…
Altro mio scritto venerante il “baronetto” e il regista anche postmoderno di Thor…, giochiamo a torello, miei tori che voleste soggiogarmi?
Il mio re(gn)o per una “cavalla!” Basta con le cavallette, siete ammorbanti. E io voglio che mi siate “mor(bid)e”, sì, miei Otello, son il Moro bello, impossibile e ribelle! Io “(s)ven(g)o” a voi, donne, di “cavalleria”, cadendo “c(r)ol(l)ato” da “cavallo”. Sì, Romeo amò Giulietta anche se era callosa, non tanto calorosa, tra le fredde calli. A Venezia, venne caliginoso e non videro un cazzo né lui né lei.
Prefazione seria, cimiteriale, cari omuncoli tanto finto-felici ché fate ridere i poveri ma, nonostante mi vogliate di malasorte estrarre il cuore, augurandomi il mal peggiore, sebben aneliate a mettermi al rogo arditamente, di gioia (ar)ridente, il contrario effetto opposto, in mio (poco a) posto di (com)battimento, sortite, invogliandomi invece a indur(ir)vi nel sortilegio (non) indottomi, miei dottorini ché, (non) essendo io poco ligio alle regole fasciste, di più provocazioni pigio nel pigliarvi lì, sì, il vostro borioso atteggiamento, miei duci, m’induce sempre a più a essere–non essere un (in)felicissimo solitario ché son (af)franto per tanti scem(p)i, imbecilli che, seppur si dichiarino solari, sol soletto fan arder respirante i miei pori strafottenti, ché siete stampati in serie, alcuni di voi son anche killer ser(i)ali, sì, di notte andate con le scarpe tutte rotte perfino ad attentar le poco virtuose streghe e mi avete davvero rotto il cazzo, essendo io lo stregone dei miei (est)tratti somatici, evviva il ratto, anche bellamente narcisistici, miei somari e miei solipsisti, (e)levandomi a dar(d)o poco dardeggiante, bensì cupo come i lupi, avvolto da mie spire, ché comunque (r)esisto nonostante le intemperie e le tristezze, non spiatemi, ma (r)espi(r)ate la vostra vita trista mentre, in cu(cu)lo, una lupa ficco oggi e domani spu(n)terò ancora da cucù, miei mammoni mammalucchi.
Uh uh!
Il c(imit)ero del nostro tentacolare ver(n)o
L’arida stagione cerea del nostro c’eravamo e ci siam ancora, incenerenti i morti viventi e vivacemente fieri d’esser (s)contenti.
Passeggeri mesti nell’onirico silenzio, crep(it)anti in anime angoscianti quanto della vita davver senziente e pura, per sempre più innamorati fulgidamente e giammai affranti bensì corpi celesti nell’etere fastosa e sfavillante vetustà spiritualmente, vivaddio, ne(r)vosa, ché l’inverno è la nostra poetica, rosea glacialità miracolosa, rinfrescante voi, gli spettri agghiaccianti a volerci assassinare gelidamente con le vostre insensibilità spinose. Ador(n)iamo la pioggia ed eleviamo la melanconia monumentale, sebben la gente arrogante voglia brutalmente disarcionarci, deflagrarci, (s)freg(i)arci, accecarci e ferirci con grandine e da gra(n)di.
No, non abdicheremo alle lor anime stanche, ché son loro i perenni insoddisfatti che, nell’efferato anelar ferreo a dilapidarci affinché ai lor ragionamenti dobbiam c(r)edere, esserne (s)cremati, dunque dall’omertà silente delle ipocrisie violente venir smor(za)ti ferocemente, nell’assoggettarci a tal vi(ri)li, affliggenti uomini putrescenti, innatamente marci nel sol reiterar le originarie violenze d’un loro mondo orrendo “adatto” soltanto ai (para)metri di questa suggestionante immagine repellente alla cui somiglianza mai ci (ar)renderemo, sì, di ribellione vitale c’accendiamo e, infuocati dalla sacralità delle nostre vite così impudicamente violate, alti voliam ancor qua affamati, come co(r)vi alati. Incuneati nelle nostre fiere… anime guerrigliere, imperiture e, d’orgoglio pulsante, nello squittirci di vent(r)i battaglieri e la nostra bandiera, giammai vinta, sventolante il (co)raggio dei sempre vivi, sì, si fregerà d’intrepidità (sin)cera schierata contro gl’indebolenti, tremendi essi vivono!
Noi, am(mant)ati dal furibondo incenso immolante la nostra guerra san(t)a, noi fe(re)t(r)i squillanti di neve brillante e nervi strepitanti la gioia dei nostri scheletri furiosi, gridiam la vita che tal vigliacchi vollero depredarci.
No, non c’impietrirono e dovranno, sì, sol impietosirsi ché le nostre notti son sempre più raggianti delle lor solarità marc(hi)anti e marce. Aride!
Noi respiriamo l’aria solare anche nelle notti apparentemente più nere, (a)spirando dai vostri musi duri l’ilarità frivola delle patetiche e ridanciane buffonerie tristissime e delle vostre ma(s)c(h)eranti cere. Voi mai foste, voi seppelliste, ancor prima che morisse, chi frettolosamente giudicaste triste. Siete voi i sepolti (non) vivi.
Perché, camuffandovi dietro sorrisi finto-allegri, vorreste darci a bere un sacco di fandonie, intanto tracannandovi le “borie” scannanti i buoni ché siamo noi, nostri buoi, che siete voi, a nulla. Intimandoci a intimidirci coi ricatti delle squallide “ricotte”. Invero, sempre più risorti in gloria, beviamo l’acqua linda della nostra intatta e ancora intoccabile, inattaccabile (r)esistenza risorgente e dunque or ancor (a)dorata, rigenerante e vivissima nel baciar di nostre labbra cremisi le viv(id)e, dolci sorgenti dell’amore purissimo.
Noi, ubriachi, fra zampillii di fontane ubicate vicino ai vostri (lo)culi e (s)fottenti la cimiteriale vostra vita già morta.
Noi, crepuscolari che ululiamo al plenilunio, mordiamo e mai demorderemo, non (s)moriremo come voi, preferiremo sempre (non) viver al crepuscolo, gemere all’oscuro di tutti, invero più lucente del vero vostro “lutto”, vogliamo esser lupi e viviamo da duri, lanciando sassi al vostro sesso carn(asci)ale(sco).
Besti(al)e!
Chiudiamo in ridicola bellezza!
Miro, da uomo mirabile e dagl’invidiosi (am)mirato, l’ignoranza di massa che, nonostante la lor “forza” e tutti i lor vi(ri)li sforzi per abbattermi, mi fa un baffo, poiché sono uno schiacciasassi da lupo che perde il pelo ma non il vizio, dunque guadagna ancor più pel(l)i, lupus in “fabula” da “Cappuccetto Rosso”, alla quale di (s)quaglia(ta) (s)graffi(gn)o la fragola, “leccandola” un po’ di prese per il popò, “insaccandoglielo” poi nel “boschetto”, poiché conosco il sesso meglio di voi, che invece lo pigliate sempre nelle cosce, uomini “(in)coscienti”, avendo io letto, eh sì, da cui i miei molti “(e)letti”, non so se (af)fini, l’opera omnia della mia cultura spaziante fra “Romeo e Giulietta” di Shakespeare e lo “spaccato” del mio “duro” da John Steinbeck…, l’autore di “Furore”… Sì, sono uno stambecco, vorreste (s)beccarmi ma invece le donne amano il mio “ubriacone” di Bacco perché delle vostre (in)certezze, miei cornuti, me ne sbatto… saltando di “pel” in frasca su mio “pal(i)o” cavalcante da “romantico” cavaliere in mezzo a un altro paio di gambe “ficcanti” alle palle, ah sì, son in palla, miei impal(l)ati, a ogni (mem)or(i)a (im)paro con lor damigelle d’“onore” a cui voi dovete far il favor di levarvi dai coglioni, che siete, lasciando che lor “signor(i)e” (e)levino “tutto” a me, ché par e (s)piacci(c)o io, unico (detento)re principesco dei piaceri al baci(n)o e al “braciere”.
Evviva Looking for Richard e Al Pacino!
Questa è la mia “corte” ed è un harem perché le mie amanti sanno che non ce l’ho “corto” anche se talvolta scopo da “gobbo”. Ah, ma le scaldo al “camino” e, al galoppo, le cavalco e ingroppo nella “scaloppina”, anche a tavola (im)bandita con tanto di grappa e lor “grappoli”, mie “quaglie” arrosto da groppo in gola. Poi, assieme fumiamo la pi(p)pa in modo rustico, prima d’ancor abbrustolirci in lei che con me fa ginnastica, miei nazisti da svastiche. Ehi, germanico, prenditi la tua spastica e ficcatela! Altrimenti, demente, ti ficcherò solo delle pastiglie. Mangia come parli, questo è il mio pasto e qui ti pesto con tanto di sugo alla genovese anche se il Bardo ambientò un suo dramma a Venezia. Sì, le veneziane sono da (a)mare. Tu sei da amar(ett)o.
A parte le stronz(at)e, che “misurano” quanto sia “dritto” e “lungo”, alla(r)gandosela, avendomi bagnatissime “tastato” dal “vivo” e a cui lo metto umido, non se da uomo eppur con tanto di “elmetto”, ché fa più “tosto”, cari “soldatini” senza corazza ma con molte “cozze”, son uomo di (co)razza. E in tutte “scorrazzo” fra purè di patate, conchiglie e altre (ba)toste.
Perché posso appunto permettermelo, anche quando non me la danno, fan sol dei danni e io volevo invece, da daino e cerbiatto, entrar loro di an(n)o in altri ani anche in ciabatta, e allor la mia mente diventa una “sega” mentale stupenda, ché neppur il più “glande” Carmelo Bene, che fu, Carmelo, “onanista” dei suoi “giochi” di (e)levazioni ed erezioni da uomo che non prende da nessuna le “lezioni”, potrebbe competere con “pene” di questo genial mio essere-non essere.
Abito, che non fa il mon(a)co, qui a Bologna, città felsinea in cui risiedo spesso da “seduto”, essendo io un intellettuale poco ben disposto alle “socialità” che invece “coinvolgono” voi, miei “bradi” e “bravi” uomini sempre frenetici e “indaffarati” dietro scartoffie frustranti, con tanto di “capo” chino ma a lui inchinandovi, dovuto al “fallo” vostro (non) vivente della “fatica” che sogna… sempre la figa, bestemmiando però in cuor vostro, rancoroso e inacidito, le vostre rabbie abbaianti, compatendovi ché io mai vi compatirò, bensì userò il “compasso” combattivo e (s)battente per accerchiarvi mentre una di fondoschiena al “goniometro “ripasserò” per s(t)ud(i)arla meglio, analmente “analizzando” ogni movimento “tettonico” della sua “vulcanicità” ero(t)ica, spesso però spentasi per colpa del moralismo cristiano che la indottrinò a perpetua “casta” nella frigida castigata, sì, timorati e timorate, urlate contro il Dio “maledetto”, che considerate il cagionatore di tutte le vostre sfighe, e la vostra vita, mesta, tristissima, patetica, (r)assegnata sol a firmar assegni per pagar le bollette nel “contemporaneo” status sociale deprimente e lamentoso perennemente, mi sa che a puttane andrà, le prostitute a basso “p(r)ezzo” su cui sfogate ogni ansia vostra soffocante. Ah ah! E il capo appunto (vi) fa il culo in ufficio! Con la sua segretaria che, segretamente, lecca il suo “cappuccino” con tanto di “schiuma” e labbra sia sbavanti che sbevacchianti. Eh sì, pur di guadagnare lo stipendio, la segretaria “beve” tutto… zucchero di “canna”, facendosi “inzuppare”. Tanto a lei basta che, di (Pan di) Spagna o col bacio alla francese, il direttore (non) la paghi. Non sono eleganti come i francesi e neppure come gli inglesi. Lei glielo “marca” in lui francobollante rettale ma a “pen’” sa scrivere una “letterina”, nonostante sia di bocca “bona” a (o)mettere il “timbro”. Chiaro, miei “(e)retti?”. Non siate sordi ma vocali! Questa è la società (s)porca e non volete neanche ribellarvi. Siete proprio a “pecora”, belate dunque e accettate il mobbing se al “cor” di massa vi volete far (s)fottere.
Eh già, (s)piace dirlo e a me non “duole” affatto, perché da Amleto, “indagatore” del “torbido”, godo come un matto, follemente “imbizzarrito”, con tanto di “cavallo” d’una calzamaglia medioevale da stallone di razz(i)a, miei “animali” meno(a)mati, sfoderando la “spada” alle donne che corteggio di “fioretto” per “brindar” sia di lor “coppe” che di cap(pell)a di cazzo. M’interneranno in manicomio perché vorranno intenerirmi, “addolcendomi” di pillole, ma chi se ne frega. Nel frattempo, ne avrò (s)fregate tante, “indurendomi” a punt(in)o. Quindi, se sarò poi cotto, non m’importerà. L’importante è la (ri)cotta, ora. Il resto sarà una “rivolta” in caso di spaccar le grate della prigione dopo essermene tante “grattate” senza pigiama ma pigiando spingente come il miglior vendemmiatore di “uva”. Sì, mie “volpi”, sono il lupo. Provate a beccarmi e alt(r)e di “botte” beccherò in “flagrante”…, che fragranza, state al “fresco” e io sto caldo “dentro” sbott(on)ante, mie bottane. Non borbottate! Questo è l’urlatore alla (s)barra di “cioccolato”.
Io uso bene la (cer)bottana!
Son uomo passionale, voi invece incarnate solo la “Passione” da poveri Cristi.
Adesso, dopo (non) essere andati a controllare su Wikipedia, avete capito il quesito?
Ancora no? Allora, siete proprio dei ritardati.
E ben vi sta!