Domenica, 17 Agosto 2014, lo spirito dante(sco) dei mor(i)t(ur)i
di Stefano Falotico
Notte apatica, notte silente, notte riflessiva, notte non tanto ardente.
Brucio dentro e la vita sfila come una superstrada che assomiglia a una modella passerona in passerella, ma non è bella come una (s)volta, è “appassita”, appaion le prime rughe sul “selciato” della sua pelle, troppe “balle” l’han scalfita, è leggermente, non dico imbruttita, ma amareggiata. Così, ancheggia stancamente, mostrandosi un po’ “raggrinzita”. Scivola con indifferenza, mentre la foll(i)a degli astanti (s)f(i)an(cati) osserva ancor i suoi fianchi. Tutti “panchinari” a plaudirle la bellezza, ieri perfetta, impeccabile e con quel velo trasgressivo di lei ch’emanava quasi “ansia” per come, sfuggente, inafferrabile, così apparse a tutti stupenda, come se il suo viso provenisse da Marte e, di avvenenza d’un altro pianeta proveniente, a piacer ludico di bulbi oculari ammiranti, altrove, fugace, stordente orbitasse in zone non solo erogene ma profondamente (dis)umane. Lei, Venere (a)scesa in terra, ch’ebbe molti, troppi amanti per vi(t)a della sua vitalità esplosiva. Alcuni di essi s’ammalaron di mal(att)ìa venerea ma lei rimase (in)viola(ta). Indiavolata e oggi proprio però con qualche “colpo” alle (s)pall(in)e. Che angelo!
Ingobbita, anche se impercettibilmente, dentro un abito che non fa la mon(a)ca, baciante gli spettatori in brodo di giuggiole che l’osannano quando la gonna sventola, muovendo appena il bacino e corrodendo le virilità ormonali dei pagan(t)i maschi, i quali, nel (non) veder(glie)la, d’apnea calorosa, si bagnan… di lacrime in lor occhi morbidi da (s)fatti dinanzi a cotanta gloria dei sen(s)i. Ma la vita non ha senso anche se è bella… almeno, così par(v)e, miei sparvieri. Lei è adesso una moribonda, s’è “fatta” anche mora e invece nacque b(i)on(d)a…
Così come a lei la bellezza naturale scippaste, ai grandi “uccelli” il vol tarpaste e allora “acciuffi” il volante e gridi, guidi “contromano”. Fermandoti vicino all’Euro-Mercato in zona tua “fiera”. Spegni il motore, estrai dal cruscotto un’ultima (siga)retta e socchiudi le palpebre, aspirando la vita che segnato t’ha indelebilmente, sbandata qui ai bordi del “cemento armato” di te un tempo amatissimo e ora induritoti con le vitree iridi come un grattacielo (s)ve(n)trato sull’orlo del terremoto emotivo. Qui, precipitato dopo tanto combattimento contro i mulini a vento(sa), nella voragine d’una bandiera bianca sventolata. Occhi al “tergicristallo”, soffusi, da illanguidito d’una (r)esistenza (s)van(it)a. Ché dei suoi ricordi vaneggi e ancor, dolcemente innocente, l’umido asfalto carezzi del tortuoso tuo essere-non essere. Amletico, incarnazione sei d’una tragedia annunciata, del sospirarla di “filtro” tuo ottico che “tira”… il freno a mano. Shakespeare, tu che creasti Romeo e Giulietta e ambientasti un’altra melodrammatica fatalità tragica nel tuo “Otello” di Mor(t)o dentro.
Vienimi in Pronto Soccorso, così come Scorsese, dal romanzo omonimo in lingua originale di Joe Connelly, salvò i morti nel suo capolavoro, Bringing Out the Dead.
Qua, vi riscrivo l’incipit, miei prodi, ché son ora… e mai più… nell’al di là della vita per colpa dei porci…
Marco Tropea Editore, traduzione di Gioia Guerzoni…
A chi lavora nei meandri della notte…
… Era una mezzanotte d’aprile, e la luna piena illuminava la strada, neanche fosse stata la festa del santo patrono. Mentre mi dirigevo verso il muro di arenaria dipinto di azzurro, con le facce che guardavano dalle finestre, pensai ancora a quanto avrei avuto bisogno di stare a riposo quella notte, a come avevo percorso tutta la strada a piedi per andare al lavoro, con le mani tremanti, pregando per una notte tranquilla, e a come, per tutta risposta, ero stato inviato immediatamente, e senza caffè, a un arresto cardiaco…
Be’, il morto sono io, un dead man walking per un’altra notte in cui ho pensato di farla finita.
Al che, appunto, con le costole incrinate del mio “crepacuore”, infartuato da troppe (d)elusioni d’una mia bellezza opacizzatasi, accosto vicino a un(o) (s)p(i)azzo, ché son sempre io stes(s)o. Levigato di “buche” esistenziali ma nessuna “striscia bianca”. Sì, dopo pochi minuti, neanche il tempo di arrivar a metà della mia (siga)retta da “smarrito”, s’avvicina una gazzella dei carabinieri perché credo ch’avesse pensato che mi trovassi lì per spacci(at)o… No, non sono un drogato né un pusher, un tempo però fui un prodig(i)o “stupefacente…”. Effetti (da) stupefacenti! S(tupe)fatti! Sì, rendevo euforiche le persone di cui m’attorniavo. Io stavo bene con loro e loro con me. Invece, oggi, mi sento un figlio di nessuno, d’un Dio maledetto, sono anche “malato”, pallido, smagrito terribilmente. Di quella magrezza malsana, da (de)perito, pres(t)o nel c(imit)ero. C’ero… non sono ma non ho sonno, soffro pure d’insonnia, come se non bastasse già la stanchezza a indebolirmi, a demolirmi ora dopo ora, a logorarmi, a uccidermi… e ho perso pure la voglia di continuare il viaggio… depongo le armi, chi m’ha amato, per l’eternità m’amerà, chi m’ha odiato, non sarà pun(i)to, l’ho finita… anche con la vendetta. Finiamola, sì. Sono (s)finito…
– Buonasera, potrebbe favorire i documenti, per favore? – mi “risveglia” così il carabiniere, “spalancando” la torcia per “vederci” meglio… – Signore, mi sente? Sicuro che non sia un “demente?”. Allora, che fa?
– Quanti anni hai…?
– Io ho vent’anni…
– Allora, mi spiace. Non hai fatto tredici. Non sono Renato Vallanzasca…
– Già… se lei è un criminale, io sono Charles Bronson. Invece, sono un povero calabrese trapiantato a Bologna e il turno di notte è una palla. Ma posso perquisire la macchina? Devo fare dei controlli.
– Va bene, prego.
Dopo 10 minuti.
– Signor Falotico, qui non c’è nulla.
– E che doveva esserci? Forse, non ci sono neppure io. Non più.
– Spiritoso…
– Spiritato, più che “alt(r)issimo”.
– Ma che fa qui a tarda notte? Mi può togliere questa curiosità? Lei non ha bevuto, patente e libretto sono a postissimo, stava seduto composto su quello anteriore, a motore spento e pure con le cinture. Al massimo, (non) potrei multarla perché l’è caduta la cenere sui pantaloni quando l’ho “rinvenuta” dal torpore.
– La verità?
– Certo, la verità.
– Poche ore fa, sa, fino a mezzanotte, era il 16 Agosto, il giorno dopo quello più “caldo” dell’an(n)o, ferragosto appunto, e la luna è un girarrosto. Adesso è il 17 ma è venerdì o sabato? Comunque, è il compleanno sia di Sean Penn che di Robert De Niro. Invero, è domenica, giorno “san(t)o” come un pesce… (a)scendente nei miei “gemelli” da Vergine poco Toro su (oro)scopo per un cazzo.
– Quindi?
– Torniamo a casa, amico. Guardiamoci Non siamo angeli. Non è un granché come film, ma la vita poteva anche andar peggio. Non ci sarà nessun remake, nonostante siamo ammaccati. Le sto ammiccando, amico.
Occhio(lino)!
Sì, (a)mici e ca(r)n(al)i, la vita è triste. I tuoi genitori invecchiano, tuo padre comincia ad avere acciacchi pesanti e tua madre non riesce più a (s)tirare la carretta, mie mezze calzette…
Qua, bisogna (s)cavarsela…
Ricordate… finché siamo vivi, non siamo vin(ci)t(or)i… di un cazzo, nessun carro, siam tutti nella stessa barca e merda.
Sta affondando? Sta(i) cagato?
Ieri notte, ero depresso.
Ma è ancor presto per farmi… fesso e farmi, eh eh, seppellire vicino ai c(ipr)essi!