La “freddezza” di un man on fire da mal di mare per gli stronzi

di Stefano Falotico

Man on Fire

La società contemporanea… tutto ciò che ho sempre odiato, dalla nascita, s’è materializzato.

Gente “Facebook”, che trascorre le ore a “farsi i pompini a vicenda”, in una Pulp Fiction di morti viventi senza più passione, arte, né core m’ancora si scambiano i “bacini”.

Non molti lo sanno, e ve lo dico io, che Robert De Niro doveva essere il protagonista del Man on Fire di Tony Scott.

Da “Variety”, nel lontano 2002, appresi la notizia. Bob aveva appena terminato di girare quell’opera meravigliosa e “capitale” che è il sottovalutato City by the Sea di Michael Caton-Jones, prima che James Franco diventasse star internazionale.

Un film marino, “edipico”, di rapporti irrisolti però padre-figlio, d’una stantia mai avvenuta “eredità” sanguigna su DNA colpevole d’omicidio. Infatti, il titolo originale era qualcosa come mark of a murderer. Il “segno”, metaforicamente “seme”, dell’assassin(i)o.

Un morbo trasmesso dal nonno al nipote, con intermezzo del pater, appunto, “tutor” legale a complicare l’albero genealogico da “criminale”.

Mark dello sperma di Vincent LaMarca, un De Niro coriaceo, dai capelli scarmigliati, argentati in una recitazione in sordina trattenuta in gola roca e sigarette amare vicino all’oceano d’un abissale errore giudiziario terrificante, da mar moto terremotante emozionalmente i tuoi equilibri psichici. Da scombussolarti e ammazzarti nel respiro tuo “placido”. Il figlio è stato infatti accusato di reato penalissimo, d’aver ucciso un uomo, di essere un mostro che, fuggitivo, scappa dal fatto (non) commesso. Il padre, come in un film di Paul Schrader, si metterà coraggiosamente a indagare, entrando nel sottobosco di Asbury Park ove Bruce Springsteen lo(r)dò i suoi figli più innocenti, amati e “amareggiati” dai duri colpi (in)giusti d’una vita storta ché non avrai ragione a giustificarti ma, mio bello, se ti ribellerai, da “bulletto” ti sbullonerà sol più, senza Sole ma nella nerissima notte (af)fonda(to), di torture brutte assai. A sangue nell’anima scarnificata, deturpata da una “criminal justice” orrenda, di te che, errante, “solfeggerai” con la tua chitarra elettrica ai bordi d’un nubifragio da “sepolto” e sommerso di (ver)gogna!

 

I am the nothing man…

 

Ma il ruolo di Tony Scott, che nell’originale fu di Scott Glenn, passò a Denzel Washington.

Man on Fire, film pirotecnico, post-moderno del cazzo, l’ultimo “colpo” di Scott da “boyscout”. Gli stronzi la cagaron storta, la fecero grossa di quasi pedofilia, che merde, che feci, che schifo, e Denzel partò in quinta di mitragliatrice. Tragedia!

Rimane eccessivo, volgare, indifendibile, forse un grande…

Come me, che mi vendicai nel modo più orso e cattivo (im)possibile!

 

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