Heat – La sfida, recensione
La forsennata condizione umana secondo l’epocale capodopera di Michael Mann
di Stefano Falotico
Scocca l’anno 1995 e, dal cilindro d’una inaudita intuizione, il genio innovativo di Michael Mann concepisce e tira fuori uno spettacolare film d’avanguardia futurista, che si riallaccia alle atmosfere adrenaliniche, veloci, scattanti, nervose e reattive della sua serie Miami Vice, propulsive, imprendibili, acceleranti, emotivamente oltre la sfera del t(u)ono d’un romanticismo estremo, disperato, (in)tangibile, furioso, schizzante, travolgente, fortissimamente urlato nel magma ipnotico di ‘un’opera sto(r)ica, l’immenso Heat, appunto.
Punto e basta, non si discute ma voglio qui ancor più magnificarlo, tesserne lodi infinite per quanto mi può esser concesso dalla sintesi mia recensiva, far sì che deflagri impetuosamente rimembrante come la prima volta che, magnetizzato da tal splendore visivo, già caddi preda della sua brama rapitrice, della sua intelaiatura “metallica”, ruggente ad appannare i film action precedenti, al cui confronto, svanendo sbriciolati, mi parvero già opaca ruggine putrescente!
Sì, insuperabile e già proiettato… in avanti, impressionante “caleidoscopio” dell’incarnar liquidamente, in nuce, lucentemente già tutta la vulcanicità esplosiva del Mann futuro… e illuminante! Cari pseudo-luminari, imparate la vita da questo film e, irraggiandovene, non oscuratevi mai più dietro un falso scibile invero oscurantista!
Ché sarebbero arrivati altri capolavori di Michael ma raramente così profetizzanti la Settima Arte precorritrice d’un Cinema già oggi, in modernità lamp(eggi)ante, incontrovertibile dell’aver polverizzato quel che fu in sé furentemente avveratosi.
A Mann vien la “balzana”, strepitosa idea di “allungare” un suo film per la tv del 1989, Sei solo, agente Vincent (L.A. Takedown) e di “potenziarlo” in un remake particolarissimo e personale al mille per mille “all’ora”…, trasformando il materiale di partenza in un lungometraggio di quasi tre ore incessanti d’emozioni, succhiante vita pura nitrente nel nitrato argenteo del fottuto (a)dorarlo e spaccar tutto, come si direbbe nel gergo attuale a quasi vent’anni di distanza dalla sua uscita.
Eh sì, manca solo un anno al compimento dell’anniversario dei 20 anni dalla sua official release date statunitense. E, il prossimo anno, aspettiamoci un altro Blu-ray da iper-maniacali collezionisti sanissimi di tal cimelio imperdibile, ché repetita juvant a, mai dimenticarcelo, al mai “ammainar” il ricordo, tutt’ora limpidissimo, dell’essercene innamorati per sempre, bensì, “ripetendolo” di nuova edizione deluxe, spumeggiandoci in confezioni “avveniristiche”, ancor “concupirlo”, desiderarlo illanguiditi come De Niro per la sua bella Brenneman, questa donna deliziosa, riccioluta ché, dopo essersene sorseggiato d’amor “vampiristico” da “guerriero della notte” miserabile, De Niro non la risveglia ma le porge un dolce bicchiere morbidamente leccante la sua figa “furba” eccitante sotto le lenzuola profumate ancor di “fresco” sudante, soffice sudario come la delicatezza del suo neo cangevole nel panorama cristallino d’una Los Angeles indimenticabile…
Un film intoccabile, cazzo!
(Di)sfida titanica, assoluta, monumentale fra contendenti a(r)mati sin ai denti su fazioni opposte “sparatutto”, ma non è un videogioco della stronza Playstation, due reggimenti a farsi guerra, un western metropolitano al cardiopalma scoppiettante fra scop(pi)ati, fra maschi incazzati a morte e immo(rta)lati a perduti amori per femmine stupende, con reminiscenze di Peckinpah, di Melville, del noir più devastante, dei migliori polizieschi, un film corale, accorato a solitari cuori senza mai pace, tormentato come Val Kilmer super-sfigato ma amante meglio del suo Jim Morrison di Stone, un “contenzioso” fra due rivali attoriali da Storia non solo cinematografica.
Sì, quando “sfoglio” la parola “genio” nella Treccani, non leggo mai la definizione “enciclopedica” ma chiamo il redattore dell’enciclopedia per segnalargli che s’è dimenticato d’inserire, a mo’ illustrativo, le foto “segnaletiche” di Pacino e di De Niro, esemplari sesquipedali della genialità incarnata negli sguardi immensi. Due redentori, miei irredenti-deficienti-analfabeti!
Che cazzo ridete? Dovete osannarli!
Il resto lo sapete, rivedetelo.
E, se non lo amerete, sarete da me puniti in ginocchio, impietosamente “trivellati”, dopo avervi giudicato “rivedibili”.