L’altro di Vera Q. – Recensione

L’altro

di Stefano Falotico

Sono io qui, orgoglioso, di recensire questo nuovo fenomenale libro di Vera Q.

Lo stile corrosivo, “frastagliato” di Vera Q. è un marchio distintivo oramai conclamato. Vera intaglia la sua prosa come mordesse carta vetrata, sentendo il raschiar “pruriginoso” del gustoso, sadico, tagliente e “sanguinolento” piacere anche masochistico, dunque, del far(si) male e “avvelenarci” al fine nobile di rigenerar noi tutti. D’igienizzarci, di depurar le nostre anime afflitte dalla solita piccina, meschina umanità bigotta, reclusa nelle proprie paure, nei suoi cutanei dispiaceri ingigantiti solo a parvenza di come, ognuno, a sua squal(lid)a piccolezza, disegna il mondo e si “segna” da solo. Urlando dietro ai soldi e perdendo il cuor suo solare, straziato da problemi inutili che diventano ragion “primaria” di vita “capit(ombo)l(ant)e” per inseguire la futilità d’una intera resistenza disintegrata da un pezzo e più pezzi di merda non più ricomponibili in alcun, chicchessia, restauro, maschere oramai crollate, colanti, attaccate al mero guadagno dei merli. Del bisogno necessario, della “bigiotteria” superflua che fa “figo” e figlio di un altro animale (dis)educato a pene… e vini poco divinatori. La religiosità dell’anima è solo una seduta spiritica fra morti in circolo vizioso attorno al tavolo delle beffe in cui si scannano a (vi)cen(d)a dei già vinti sol col vino e la filastrocca patetica dei (la)menti tristi, arrotati nel rotol(in)o delle proprie carni macellate. Fetore, poco sanguigno e passionale furore, mancano poche ore alla vita, perché la morte già fu da quando tali informi, già “infornati”, mai nacquero eppur “galleggiano”. Fra branchie d’un b(r)anco sociale da salumieri del proprio “magro” aver perso anche l’asciuttezza della sana “crudezza”. In viaggio di non ritorno, tutti arrosto a giocarsi del proprio nucleo unto e bisunto in liti da bisonti. Ce n’è bisogno? Non più sognano. Mai erano, l’ieri è sempre un insuperabile rimpianto dal vano piagnisteo sui divani e sugli sporchi panni delle lerce ipocrisie “caste” ché potrebbero crear scandalo e dar nell’occhio se tutta la bile vomitassero. Forse, l’unico (ri)getto dignitoso per lucidar valorosamente i piatti in cui mangiano. Neanche patteggiano! Nessuna pace! Bestemmiano nei loro fe(ga)ti andati a ma(ia)li… mal comune, mezzo gaudio e, nel massacro familiare-disfunzionale, si vive per (parad)osso, nel cagarsela, più “tranquilli”, pasciuti ma, in viscere lor da vipere, non credo davvero paciosi. Sì, dalla calma piatta, v(i)olano i p(i)atti, tradimenti a (raf)fiche dei burattini di legno, mossi sol dagli odi. Olio di Ricino!

Ma so’ piezz’e core e pezze al cu(cu)lo dell’impazzimento degenerativo che, di geni malati in generazioni avvenire più aberranti, abominevolmente si cannibalizzano per una sempre più inevitabile discesa all’inferno e il represso-(s)premuto pulsante dell’ascensore caduto in basso nel lor (re)spingere il bottone verde… di rabbia. Abbaiano, spaccano tutto, esclamano e chiamano al lupo al lupo mentre un altro calcio in culo arriva come volevasi dimostrare dai nostri mostri, e Vera veramente ci ficca un altro colpo allo stomaco. Nella pietanza cattiva, da “Tita Andronica”, che ci fa ingerire. Noi, palati “fini”, assaporiamo e vogliamo il bis.

Pietas, siamo in ginocchio di fronte alla diabolica dea della scrittura cinica più a noi stuzzicante, Vera Q. Un nome, un programma, un menù a base di carni (dis)umane triturate come giustamente gli animali meritano il macello spietato e allo spiedo… e la sua macellaia di penna ficcante ad aumentar la lor pena da carnascialeschi porcellini… e la panza cresce.

 

 

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