Non sono (im)maturo, son Victor Mature

Victor Mature

 

È morto Sansone, è morta la società, è morto un diverso, è sconfitta la vita dei borghesi

Credo, da anni, di (non) piacermi, di rifiutare in tronco la società di massa, con questi (am)massi sferrati che sferran pugni all’anima. E ammetto di non esserci più, a picco(ni), piccoli, scivolante nel bar(atr)o picciotto che ha ucciso il mio picc(i)one, buttando la mia anima all’inferno. Distruggendo quel che ero e sol lassù, mai più, sempre più giù, non sono. Or(l)o… Una lenta agonia, un a(ne)lito speranzoso, il piacere adesso masochistico di dar la “retta” via al sadismo di chi, assassinandomi a fuoco lento, nel crep(it)ar m’ha (ar)reso.

Io ero un poeta “piacente”, uno che preferì star per i “falli” suoi. Sba(d)igliato come dico io, errato, alcuni dicono erroneo, probabilmente errante, gerundio presente del mio eter(n)o assente. Il successo, diceva Carmelo, è solo il participio passato di quel che doveva succedere… ed è un Bene, “in fondo”. Maniaci sessuali, fermi con le mani. Fatemi masturbare in san(t)a “pece”. Mai sé stesso, il sesso odiante, almeno come dai cannibali, che non credon alle cabale, vien (in)teso di “garze”, da ca(r)ni, da ruffiani sempre poi col “pelo” arruffato. E le smorfie son il mio (di)letto, (s)teso, appunt(it)o, “cotto” a puntino perché non amo le (ri)cotte. Secondo me, son tutte mignotte, anche i maschi. Scommettono sui lotti e la lor vita, anziché andar al massimo, va a “novanta” d’una loro patetica (r)esistenza, invero già nell’avaria d’un quarantotto in cui, inculandosi di leccate…, si dan solo arie, sì, vantandosi, svent(ol)ano la lor finta, “fina” libertà da “uccelli” di razz(i)a. E, in questo scopar… tutti a terra, in tal sterminio io mi te(r)m(in)o, dan a me del paraculo, combinando per le feste altri (d)an(n)i. Non son da dame, son lo scacco fra le cacche, il daino spellato fra chi crede al bast(i)one del danaro, ché a me dàn sol idea questi qua(quaraquà) d’una (in)evitabile, (pre)matura, precoce vecchiaia… in super cazzole auto-ingannevoli da (a)mici miei della eiaculante senescenza di pene.

Quanta giaculatoria, allor viva la donna giunonica che gioca con le teste dei “ma(s)chi” con le maschie tette lì “guardanti”. Gli uomini badan al solito so(l)do, e più son “liquidi” e più s’alzan in “retroguardia”, ma lei sta al “gioco” sodomizzante, rifiutando il femminismo per “tirarselo” a Campari e Martini, miei frat(ell)i campanari. Qui, il “tiro” della donna “stiratrice” straccia la pelle, e asfalta le pal(l)e d’una noia afosa in nostro (termo)sifone della tempesta(ta) che presto si (ab)batterà per strada, fra cort(e)i in p(i)azze e “lunghi” in altre politicanti balle. Meglio allora il fieno a questi fieli, meglio il fegato che “marcia”… io non la do vinta al borghese ma ERGO… sum, somari, in “co(g)ito della “spada di fuoco” tratta, son Mario Brega a (t)ratti di Un sacco bello, perché la mia sacca scrotale ne ha piene e ora mi svuoterò nel “vuoto” mi(s)tico. Pigliatemi pure là, datevi a quella con la “gomma” che fa lilla e lì ve lo servirà, dopo aver “sbandato” nel vostro (t)rombarvela… e lasciarvi pneumatici.

So di cosa par(l)o, donne, andate a farvelo dar nel culo, uomini, siete già da (lo)culi.

Questa società carna(scia)le(sca) è un carro “a(r)mato” di “cavalli” di troie… nel c(imit)ero.

C’era.

E me ne sto in sana piantina, perché voglio la mentina, non i vostri buo(n)i(smi) da caramellini, miei mielosi ché tanto volete sol la mela delle asine, non avete la mia mente, non mentite!

Io sono a voi il mento(re) e non vi reggo… reggimenti, sgolateli, cioè non più strozzatevi ma i rospi fate sì che spu(n)tino. Cibiamoci di spuntini, non la spunteranno, puntateli e che non s’impuntassero, puttane!

Sì, questa mia non è una falsa p(r)osa, non desidero le rose ma solo la spina… della sedia elettrica.

Tuo fratello è autistico, non sarà un autista. Informalo e poi “infornalo” per risparmiargli il dolore tuo di doverlo mantenere e non poterti così permettere nemmeno un’auto(ma) quale sei, uomo macchina.

Io macino, miei “macigni” rompi…

Io sono il cigno.

E, se vorrai tarpar le mie ali, prenditi il petto(rale) di pol(l)o e mangiati la tua cer(tezz)a.

Io ti st(r)ucco e tutti rimarranno con un pal(m)o di naso. Il mio, in quanto Pinocchio e stai nella balen(otter)a. Te “lo” tiene “caldo” ma, senza il mio “tonno”, sappi che affogherai e “pioverà” il “tuo” sempre sulla “bagnata”.

Detta vita zoccola. E non è un detto né un dato… di “fallo”. Impara dal mio (acque)dotto e vai a ber un bicchiere d’acqua. Non è mezzo pieno, è a secco. Succhia!

Lavatura e poi suicidio in nostra “elevazione” del cazzo.

 

di Stefano Falotico

 

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