Robert De Niro a Roma presenta il suo “Senior”, Rememberig the Artist, io (ri)presente e la mia vita fra mio padre, tanti amici, spero di aver dipinto una poesia p(r)es(s)ante
Ieri, De Niro, al Maxxi di Roma ha presentato tal docu dell’HBO alla presenza di Giovanna Melandri.
È un documentario che io ho già visto, sebbene passerà in “italiano” su Sky Arte nei prossimi giorni.
Sapete la verità? Mi ha commosso/a. Quest’uomo, uno dei più grandi attori della Storia del Cinema che, già nel 1993, dedicò il suo A Bronx Tale alla memoria di suo padre, deceduto poco dopo la fine delle riprese.
Ma qui è scesa qualche lacrima in più, rammemorando suo padre, attraverso queste “pittoriche” immagini, mi son pure io rimembrato emozionalmente non morto, purificato, non defunto bensì rinato, pittorescamente depurato. Nello stupore un po’ di chiunque, tangibile è questa mia rinascenza limpida, l’avventura della mia vita splendida, musicalmente “balzana”, fra tante gioie e dolori, delusioni e altro soffrire, nuovi splendori incantati ad abbagliarmi, qui per voi nel riaccenderci, “pennellando” le nostre giornate in ricordo di chi fummo, di chi siamo, dello “scalpitio” dei nostri c(u)ori. Ti faccio lo scal(p)o!
Vedo Robert, il “duro”, che si scioglie in occhi inteneritisi e magicamente ricorda (al)la memoria di chi l’ha messo al mondo. Di come suo padre combatté per emanciparsi da uno stile di vita borghese e, assieme ad altri artisti suoi (af)fini, mise su un “circolo di belle speranze” per non star più “giù”, di giovani condottieri e inseguitori del loro “delfino”. No, non è Ritorno al futuro, è immaginar ancora il proprio destino, i propri ne(r)i esistenzialistici, scolpito anch’io, sulla carnagione del mio (in)viso a muso duramente (s)colpito, da qualche neo, da sfumate nerezze (in)tangibili della mia anima viaggiante, autunnale e poi estiva, (s)tinta oppure estatico dinanzi al tanto lungo esserci tutt’ora in tana rifugiante e “stagno” spu(n)tante me di (rim)pianti ma le “alla(r)go” e non piang(an)o, “stigmate” della mia epidermide sempre mutevole, un mutante dal passato “mu(l)t(at)o, della mia pelle un po’ milk, già, anch’io possiedo quel colorito pallido e, forse, la somiglianza con Bobby è impressionante. Adoro le mulatte! Soprattutto nelle mie malinconie da Once Upon a Time in America, da tassista del mio “driver”, delle mie insonni notti e della perenne incognita dello specchiarmi in qualche “folle” monologo, rivolgendoti/vi un “Dici a me?” che si staglia a mo’ di poster(iore) gigantesco, “ammiccante” sulla parete della mia camera. Io, che persevero a vivere spensierato, spezz(ett)ato da un fradicio torpore del mio cuore insanguinatosi, rivivificato di rinnovati ardori, dopo tanti adolescenziali “nervi” ed esagerato furore d’apparente calma “stagna”, del cielo in una stanza, dell’apatia canaglia e delle cattive compagnie con quella carogna, quante scalogne ma anche la tua “scaloppina”, al galoppo, dai, dammela, bella donna, dopo il dondol(i)o e l’essermi “raffreddato” non sol di tosse rauca delle mie (in)dolenze “basculanti” fra un’emozione troppo densa per non “rabbrividirmi” del patir “dolce” nell’esasperante, disperata, melanconia “sobria”, disprezzato, e un’elegante “dar di matto”, fra una rabbia a fior(e) d’un “senza palle” che sbraitar seppe solo, che “stronzo”, in “giubbotto” da indiano “rosso” e i ca(va)lli della stanchezza, qualche “sega” per (ri)mandarla a cu(cu)lo e (non) “tirarmela”, non voglio tornar in sella, non ho “sedere” per “starci dentro”, desidero “vecchia-mente” borbottar’ in abbaiata severità, è un “latrato” incarnato di “lupetto”, castano di capelli e corvino d’iridi mansuete talvolta furbine, un “orsetto” emarginato per colpa di “coetanei” che pensaron, in (dis)illusi credersi “volponi”, di seppellirmi nel sapermi un coglione, nulla di me seppero né sa(p)ranno, vollero, ma che vo(g)l(ion)o, “violentar” nel non combaciarti di elettivo senziente, decretarono, (s)cremanti, di veloce sentenza, a mo(de)llarti come morbido, manipolabile cretino, a urlarti “Crepa!” ché l’arroganza è manichea e figlia della peggior, crudele ipocrisia caudina, io, cane, qua solo… al ripen(s)armi di stralunate, (in)alterate angosce in un riesser nel Sole nuovo di tutto “pugno”, punto e a capo, rimandiamo il “cappio”, macché suicidio, spunta una fantastica alba, c’è da “insudiciarsi” a “volontà”, infangarmi, ah ah che alghe, che fighe, mi rendo meno infante, più languido, sempre sol(idissim)o, non ho liquidi, liquidami, ma quali sabbie (im)mobili, giammai sarò infranto eppur (non) si (s)muove, che “frana”, mi pettino la frangia e, “frangendomi”, (in)castro me stes(s)o o te pigliante una botta pazzesca di mio (in)aspett(at)o p(i)azz(at)o, sì, la mia vita (ri)sale e te l’appioppa, basta coi tristi inverni da pioppi, meglio le poppe, questo è di tutti il melodico leitmotiv, il birbante f(l)a(u)to lieto, non va lenta né (al)lieta, ti scoreggio, hai finito di scoraggiarmi, nella vita solfeggio, fischiettate tutti se qualcosa è andato a male, tanti maiali, non ammalarti dei lor mal(ann)i, son maldicenze e torna… sempre a chi l’ha patito, riparte, non affliggerti, divora il tuo “crocefisso” e basta con le fisse. Son (ri)partito!
Anche se, domani, subirai/rò, da ripudiato re(o), una nuova fitta, stai “ritto”, tienilo “bono”, è bona a car((in)a, un’altra stronza f(r)ig(n)a, quanto inutile lamento, lo allievi con la mente, ti (e)levi dal cazzo? Fantasticando di vite (im)possibili, (s)finito o soltanto più raffinatoti. Affinando, un po’ son anche smagrito, son più fine ma continuo a non amare quella sua maglietta fina… No, non sono fin(i)to. Cammino, la mia casa non ha camini, eppur passeggio avanti e, “bruciandomi” al freddo e al gelo come Cristo, non guardo più (di)dietro. Che è successo? Oh, Gesù! Proseguo, mi soffermo, datemi dell’infermo se rifletto assai o letto ho più di tanti che son stati “dileggiati” in tanti “goduti” letti. Per questi, sol/son un laido, (s)porco inferno!
Cattivo di(avol)o!
Lento, poi rapido… per Parigi, non ho i soldi per andarci… a puttane, la mia moralità non me lo consente, Nizza, non rizza, a riccio non me la sento… son(n)o, (ri)sveglio più di tanti (ri)tard(atar)i, quando parte il primo aereo per (t)rombarti?
Andiamo a Vienna?
O il grande Ronin?
Io, nonno? Eh no!
Questo è il mio omaggio.
Non ha senso?
Lo ha.
Lo è.
Beccati questa.
Io sono Travis Bickle!
di Stefano Falotico