John Wick, recensione

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Il culmine nel cane/poco “calmo” Keanu

 

Ritiratosi a vita “monastica” dopo la morte della moglie, un killer spietato e temibile, l’uomo nero, torna dall’aldilà della “sepoltura” dei suoi antichi crimini e “traumi” dopo che il figlio del suo ex boss gli ha rubato la macchina e, soprattutto, gli ha ammazzato il cane, Daisy, ultimo regalo “di nozze” della sua deceduta consorte nel giorno del loro “anniversario”.

 

Tornano, dalle viscere sepolcrali del suo “stranger”, sulla musica tesa e ritmata d’un Marilyn Manson denso di tetraggine adrenalinica, i passati suoi trascorsi da gangster, per far piazza pulita dei cattiv(on)i, che hanno martoriato e vigliaccamente ucciso il suo ultimo, residuo “sogno” di libera serenità contemplativa, la catarsi non s’asciuga nello scarmigliato Reeves, in perfetta forma “Matrix”, pettinato di liscia capigliatura “assorta” nella levigatezza della sua magrezza “buddistica”. Un robot “penetrante” a suo ieratico sicario senz’alcuna possibile redenzione, un “macigno” macho ormai incrinatosi nei già traballanti equilibri “termodinamici” a deflagrazione dell’entropia vendicativa da lui furentemente, senz’attimo di tregua, attuata a mo’ di macchina da guerra repentina, scattante, che non sbaglia assolutamente un colpo e nessun assolve. “Silenziatore” freddo della sua eterna notte profumo revenge.

 

Si sfiora il capodopera in questo divertentissimo, emozionante, perfino commovente John Wick, secco, “slabbrato” in una fotografia “discotecara” al cardiopalma, psichedelicamente furiosa come il suo cavaliere sol(itari)o.

 

E la vendetta (non) ha lieto fine…, battiti di ciglia e, sotto la pioggia battente, un altro battuto, il sopravvissuto gran villain che aveva fatto male i conti col “conte” Keanu.

 

Cronometria di pallottole “cinesi” nei suoi occhi a mandorla, “mediterraneamente” (poco) tranquilli.

 

di Stefano Falotico

 

 

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