La grande Biutiful
Perturbatore di me stes(s)o, snocciolo la sciocca vi(t)a di me (ba)lordo da tanta (dis)umana transumanza e mi ammal(i)o dopo tanta perente, pen(s)ante battaglia ché, oggi, allo scoccar del futile, inutilissimo giorno, qua me ignudo non m’abba(gl)io delle comuni rivalità a me risultanti stanche. L’onor mio insultanti, me, isola(to).
Nel funambolico eppur dardeggiante Bardo-alabardato di me amletico, approdo al bordo delle nuvole madide dello sconcio sudore dello scimmiesco, stupido mondo, e non me n’inglobo, sorvolando eccelsi lidi e riflessioni linde del pen(siero) mor(t)ale, allucinando i miei occhi ancora(ti) splendenti nell’asciuttezza dell’amara consapevolezza, forse van(itos)a. E nel vento di tal (re)flusso di coscienza vigorosa e (p)e(r)sistente, resistentissima in tal grottesca, meschina, ipocrita esistenza e forse esagerazione o (non) “esit(azi)o(ne)”, rimugino e il mio (non) tra-passato riesumo, forse così mi riassumo, annuso e mai assumerò lo specchio di tal “lagna” e lago patinato di solipsistiche dolcezze vostre “gentili”, “beniamine” solo dei piaceri personali effimeri, fatui e falsissimi, oh, mia carezzevole fata, da essi distoglimi, me trascinami via ché son, in questo raggelante altrui sonno, affatto somm(ari)o, stolido nella perenne convinzione di (non) poter cambiare e invece nello sven(tr)ato variegato e non dalle fallaci invidie e gelosi “strega(to)”.
Torvo, torbido…
(Ci)… viviamo in una terra oramai morta, non più soavemente mor(bid)a ove regna invece, che fece, (non) fa…, la pornografica visione tetra e in cui, in cu(cu)lo, la gente aspetta “vir(tu)ale” le attrici di tal “industria” a poterla soddisfare… per l’eccitazione di massa e non solo corporea, decerebrata nella masturbazione d’un sesso sempre più ossessionato dal sol(id)o sé.
È il se, (piut)tosto, l’incognita che più m’affascina, io che ho qui smarrito il senno, no, lo slancio del sen(s)o vitale e non mi do ai viali e al viavai frivolo della pesantissima “leggerezza” che va per il nostro Pianeta “maggiorato” da minorati mentali, dunque dementi della perduta mente.
Così, mi concedo altre parole a tal prole che doveva essere-non essere “aborto”, e vago, vaghissimo, nel mio poeta, dentro, nel “ventre”, del p(i)en vacuo, sollecitando la fantasia vivida ch’è la sol lucida vi(t)a.
Ma, forse, la mia è sol viltà, sì, (non) so(no).
di Stefano Falotico