Ebbene, oggi compio i miei “vegliardi” 36 an(n)i, di culetto (s)fortunato, come tutti, in quanto “inabissato” in questa vita che di gioie tanto ci rallegra quanto, spesso, di delusioni ci ferisce, arc(uat)o e frecce…, e il temp(i)o va celebrandosi nella mia way, come cantava Frank Sinatra, al quale m’accomuna non ancora la morte ma la similare, fluida, “scorrevole”, profonda voce sinuosa e recitante le mie po(e)s(i)e. Non ho blue eyes ma due iridi perlacee, “vivisezionanti, talora “ere)mitiche”, vicine al noir, scure, insondabili, d’ermetica lucentezza nei giorni migliori ove, di g(i)usto, assaporo le allegrezze dell’estemporanea felicità, molte volte illusoria, altre appagante, in cui mi celo in aromi “gelidi” quando la malinconia s’impossessa visceralmente in me troppo pen(s)ante. Perciò “schizzo!”. E dove vado (non) si sa. Sì!
Eppur tal vi(t)a pondero, così natural, in me stes(s)o, mi pongo… domande, incognite, medito sul domani, rifletto, intro-verso mi “spalmo” in visioni immaginifiche che mi donino spaziosità della vastità d’un infinito sempre vicino, poi lontanissimo, fuggevole e furbetto, fra tanti fraudolenti con(s)igli che, vili, m’infestano, ammorbandomi d’abusive istruzioni per l’uso, e invece saggi consiglieri della retta, maestra e furibonda strada di mestizia e repentinamente, quindi, di dinamica velocità dell’animo “ansimato”. Attimo/i.
In tante icone mi rispecchio, me n’identifico, poi prendo la mia immagine (ri)f(l)essa e la stropiccio, la “slabbro”, congiungo le sottili e carnose labbra in baci abbraccianti la (s)contentezza, ché la vita oggi è (a)mar(a) e di futuro prossimo (re)mota.
In-dolente, din don dan, suonan le campane e mi debbo svegliare anche stamani. Sto male, poi altre pene, è tutto buon quel che (non) finisce bene. Basta coi facili buonismi, un po’ di sana cattiveria, per l’amor di (D)io!
Mia madre m’ha regalato un piccolissimo Bonsai, un “Mishima” di foresta in fiore “peccaminoso” e orientaleggiante in cactus o la solita foglia di “figo?”.
Ringrazio, anticipatamente e non, tutti coloro che, spero, di core, gli auguri m’han fatto a faranno (mi farò…) sinceri.
Son ancora vivo e sento! Accendo un cero, questo è certo, rinascerò cervo! Di montagna o di lago, scrivo libri che (non) molti leggono, ma mi fa(ccia) piacere. Brucio, son un braciere, per tante cos(c)e andate. di torto, storte, ancor mi brucia, eppure qui rimango ancora(to).
Non posso singolarmente, per questioni di tempo ché tutto, non acchiappabile, fugge via d’impegni inderogabili, ringraziare tutti.
Mi “limito” a fare qualche nome e non c’è bisogno, per ognuno, di spiegarne il perché.
Son persone uniche che m’accompagnano, m’accompagnarono e m’accompagneranno, più a lungo possibile nel v(i)ag(gi)o…
Loro sanno.
di Stefano Falotico