Lo stagista inaspettato (The Intern), recensione, review
Lo stagista inaspettato
Incipit melodico, cadenzato da Ben (un sorprendente, “unexpected”, magnificente De Niro) che racconta alla gente, anche agli spettatori, come se ci trovassimo dinanzi a un film di Woody Allen (non a caso, una delle attrici preferite della regista è Diane “Manhattan” Keaton), la sua noiosa vita da pensionato. Le ha provate tutte per “evadere” dalla sua età, per esorcizzar il “profumo” di morte e la depressione “bergmaniana”, si è iscritto a corsi di lingue, ad esempio, ma ciò, anziché alleviare il suo “bofonchiante” rancore e la sua sin troppo languidezza mesta del suo (non) rassegnato animo, ancor leggiadro invece, intimamente “agguerrito”, nel voler inseguire lo sfuggente, inesorabile tempo battente, ha finito, se non a inacidirlo, a “spossarlo”, lui che, vedovo, non è più sposato ma fin troppo (ri)posato, a fargli perdere il vitalistico fuoco sacro del sentirsi “ardente”, vivo, euforico, a rammollirlo nel cuore. “Turba” di cui molti pensionati soffrono, cioè quella di provare l’inadeguatezza oramai d’un vivere “(ir)regolare” senza molto senso. Giornate appunto noiose, nel pedissequo cercar (in)van(itos)o di “forgiarsi”, “foraggiarsi” almeno in qualche impulso creativo per far vibrare un’esistenza “agli sgoccioli”, arrugginitasi, infiacchita, che ha smarrito il mordente dei respiri “vulcanici” e s’è melanconicamente opacizzata in grigi albeggiare dei dì ripetitivi per aspettar la già inoltratasi notte “inutile”, insonne.
Al che, dopo esser andato a far la spesa, in una mattina come tutte le altre, “insignificante”, Ben legge un volantino in cui c’è scritto che “da qualche parte” assumono persone senior per (re)iscriverle al “volenteroso” (apprendi)stato…
Ben, signore appunto compi(u)to, compunto di un’altra epoca, old–fashioned, classico e “firmato” d’eleganza d’antan, “stagionatosi” in tante allegro-morigerate stagioni del cuore sull’orlo se non dello spegnimento, forse, del morir dentro. Che sceglie accuratamente, con estremo gusto, le cravatte da indossare, il suo abito da “biglietto da vis(i)ta” anche se deve, semmai, sol incontrare per strada il vicino di casa. Perché è stato educato così. È di quella generazione lì…
Ben tenta così l’impossibile avventura, trepidante e intrepido, cavaliere senza macchia e senza alcuna paura, ché la saggezza delle tante esperienze l’ha fortificato nella sua amabile gentilezza gioviale intimorita da nulla ma vogliosa di questo capriccio (in)sano, uomo discreto, sen(sib)ile, che certo non è spaventato dal ributtarsi nella mischia e di affrontar a viso aperto una nuova, rinnovante, “rilucidante” occupazione a settanta primavere “suonate”, non ancora però da suonato. È vispo, “ode” scoter la sua anima di stimoli che possan ridonargli gioie rifulgenti che credeva per sempre persesi nell’abitudinaria vecchiaia smorzante.
E incontra, dunque, la radiosa ma nervosa Jules (una grande, naturalissima, come mamma l’ha bellissimamente fatta, Anne Hathaway).
Caro lettore, te lo scrivo col core, se t’appresti a leggere quanto segue e a “inoltrartene”, scoprirai presto, sin dalle mie prime righe, che questa non è solo una recensione standard, ché vidi il film in anteprima, alla premiere londinese, domenica scorsa, elegante e vestito a festa, ma forse non l’ho, e qui cambio il tempo in passato prossimo dal (re)moto che fu, veduto, eppur ne narro. Auto-biografizzandolo, “(di)stil(l)ando” ciò in data 2 Ottobre, aspettando che esca, e possa (ri)vederlo, nel giorno della sua italiana uscita, il 15 sempre di questo mese, caduco, autunnale, piovigginoso, “sdrucciolevole” come le scale bagnate dall’amor rosato, mischiato a baci “grezzi” d’amanti, poco adamantini ma istintivi, “increspati” nel lor “giogo” di cacciatori e prede stronzette coi cazzi nella testa.
In verità, o invero se preferite, non conosco Ben né ho “visionato” il suo stagismo in tal agenzia di moda.
Partirei con…
L’ironia che fa del tempo perduto un goliardico sberleffo leggero
Da che mi ricordi, sono anni “insanabili”, di mia “bile”, che vivo un precoce, (in)sano pensionamento, e non noto nella mia personalità né evoluzioni né (cambia)menti. La mia mente, per evadere dalla noia della mia “vedovità” inconsola-bile, appunto, ha tentato di spremer le meningi nella “cura” della creatività, mia culla, per me, oramai da sempre “allocco”, per risorgere in un ritorno della giovinezza (in)sperata. La mia barbetta, ramosa, “rubina”, quasi da rabbino, si sta ramificando a ogni dì (de)crescente, anziché esser invecchiato nella senilità po(l)t(r)ente, mi sto “umoralizzando” d’atmosfere empatiche col Creato a me prima nauseante, sento infatti riscoccar dalle mie tempie il perduto tempo, ché perito lo credetti, crepato e, invece, dalle crepe sta rinascendo una bella, “tangibile”, succhiante voglia di fresco cioccolato “spiaccicante”, indosso gli scarponi e faccio col pane la scarpetta, sono un (non) vivente mascarpone, dolce alla Up, “vecchietto” furbetto e i giovincelli strafottente, sì, che si fottessero, ora mangio un’altra “caramellosa” crêpe, così di Nu(te)lla ripiena. Ho il panciotto pienotto e do di botte piena e moglie mai o forse avuta, eppur son fradicio ubriaco, (s)fiorente, praticamente un demente. Mi dimeno e tutto in fretta dimentico, a niente oramai credo se non a lasciar che la barca vada ove lo stomaco un po’ deborda e, incontinente, la prostata si alla(r)ghi. Vorrei prender lezioni di Mandarino ma invece sbuccio solo un pompelmo, d’altronde, gente saggia come me sa che la vita è Arancia meccanica, non è più tempo delle mele né dei limoni, per una “limonata” sì, succ(hiott)o-“saccottino” di vero zucchero mio “incarnito”, rincagnito, sono alla frutta e quel che mi resta son i resti dei miei passati, tanti (ri)cor(di).
Devo rimettermi in forma, non son un cassa-(dis)integrato, posso ancora dare molto, in fondo del “barile”, alla società. Devo rischiare, non “raschiarmelo”. La mia maturità può portarmi “ritto” e arzillo a una Rene Russo da cucinarmi, gallina che fa buon brodo, e a un’amicizia platonica con un’Anne Hathaway del più sweet femminismo da chick flick. Speriamo in un happy ending, dopo tanto mio cinismo (ba)lordo, sono buonissimo e non m’incazzo neppure sotto le peggiori torture psicologiche e mille in faccia torte da “schiaffi” (im)morali. Ho molto ancor d’insegnarvi, ragazzini che mi prendete per il popò se il “mio” s’erige per il (ri)tocco della massaggiatrice, ah ah, magari me lo (m)assaggiasse con le sue mani “tornenti”, per il “venir torrenziale e sc(r)ollato”, mani guar(n)enti, delicate, un “toccasana” a uno come me, pensionato non tanto (mal)sano, ché me la tiro di camicia linda e stirata.
Vi metto tutti in “righello”, non siete più “lunghi” di me, la so lunga, so parlar forbito di lingua finissima e “incravattata” da puro gentleman d’aplomb che non si spazientisce mai. Ben rasato, senza baffi eppur col sorriso (non) compiacente d’un De Niro superbo, beffardo come quello migliore del vino d’annata.
Procederei, pertanto, con…
Anch’io ho, a mo(n)do mio, amato, odiato, la mia età rinnegato, la mia anagrafe distorto, i miei occhi emozionato/i, la mia anima naufraga(ta/o)
Come chiunque, nella mia (non) adolescenza oltraggiata, aberrata, tribolata, mal partorita, a metà e appieno vissuta, triturata, dagli “adulti” scann(erizz)ata, mal vista, acerba e altra, oltre e sempre altrove, m’illusi che 8mm di Joel Schumacher, con Nic Cage, fosse anche un buon thriller “catartico” ma poi, avvedendo la mia (re)visione, sentenziai a perpetua, eterna, finché morte non mi s(e)pari, che sia, perennemente sarà una pellicola fascista, reazionaria, piena zeppa di luoghi comuni sui serial killer, propugnatrice di vendetta giustizialista del peggior Charles Bronson.
Ci fu anche un tempo nel quale pensai che Stanno Tutti bene, sia nelle versione originale di Tornatore mastroianniana che in quella “remake” di Kirk Jones, col “mio” De Niro, fosse un piacevole viaggio “felliniano” agrodolce di rara/e raffinatezze e (ri)sentimenti positivi, ma lo rivalutai, in peggio svalutando me, recensore giudicatomi “alla buona”, e svalutando entrambe le opere del loro insignificante, patetico, nullo “valore”. Se mai l’ebbero, se mai vissi, se(m)mai sa(p)rò.
Trascorsero stagioni magre in cui, “inculato” da mille pensieri dannati, danneggiandomi, sì, io stes(s)o, mi persuasi che l’amore davvero esistesse e che non fosse soltanto l’illusione dell’uomo, creatura contradditoria, nata per sua natura, alla Taxi Driver, solo e senza Sole.
Passarono gli anni e m’incoraggiai, talor scoreggiando da “fattone”, persi la mia indole viscontiana e la mia primordialità da “vampiro”, da Conte tra(s)mutai in principe, poi divenni rospo e sputai sul piatto in cui mangiavo.
Ma è or ora di creare l’intervallo…
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Pensionati, liberi dagli obblighi sociali e “scolastici”, vi siete meritati una gustosa, sciolta, disinibita colazione col cappuccino della Ciobar, in vendita nei migliori discount. Perché noi, “esercenti” di questo regime da esercito, non eserciteremo su di voi, “parassiti” rincoglioniti, altri abusi alla già vostra cagionevole salute, minata, come sappiamo, d’acciacchi e da fissazioni bislacche, da manie compulsive, ché l’Eros della gioventù s’è trasformato in paranoico avvicinamento al Thanatos, da cui il “proteggervi” dietro i rituali e le abitudinarie “convenzioni” dell’io “desessualizzato”, per esorcizzare la (di)partita a carte alla bocciofila.
Fate come Ben Whittaker, dopo essere andati a far la spesa, entrate in una tavola calda e chiedete solo ed esclusivamente una bevanda della Ciobar, per una colazione “nutriente”, ipocalorica, anti-colesterolo. Non dovrete pulire la dentiera e non vi verran le carie se userete quello di canna, alla faccia dei ragazzi di McDonald’s che si fan le canne.
Alle prossime elezioni culinarie, salvo alzate di testa e di “uccelli”, da cui le putrescenti, inacidite vostre erezioni, dai il tuo voto alla lista “Ciobar”, per uno Stato più “cremoso” di saccarosio, senza tartari, persone che da un centenario rovinano il mondo con le lor labbra secche da meridionali incazzati.
Experience never gets old
(De)pressione (a)sociale
In data di vigilia dall’uscita nelle “saune”, no, sal(s)e, ancor medito sul nostro cam(m)ino così denso di “modernità” sconvolgente, a me, “pensionato”, non più coinvolgente. Gente… che vivacchia, bivacca di “comfort”, il film è “confortevole”, mette di buon umore, “pasticciando” di sentimenti positivi-(bi)polari negli occhi rassicuranti dell’Hathaway, sublim’attrice che, così giovine, (ar)redattrice, ha già le apatie patenti del nostro mondo pa(r)tito, in cor(po) suo (s)magr(it)o, sublimato, fatto sì, di distinta silhouette siffatta, che non “venisse” sfatta, di bel (porta)mento amorevole, grazioso, come il film “delizioso”, tanto da non esser stucchevole ma(i) truccato dietro la furbizia della Meyers che usa molto “trucco” per non far sì, forse no, che Ben invecchiasse patetica-mente sulla demenza. Mette d’accordo tutti, a ogni mo(n)do, c’è chi è (s)truzzo e chi rozzo, chi lo fa pa(r)tire ad azz di razzo e chi ama di più un thriller “tosto”. Ci sono poi quelli che non si cas(s)a-integrano, i disintegrati…, insomma, i pazzi! Di mio, non so, rimango nel dubbio dello sguardo compassionevole, forte d’un De Niro misurato e il caffè, come questo film (non) troppo dolce, miscelo di mia zucca, senza zucche(ro).
Non accetto ulteriori con(s)igli.
I meravigliosi tocchi geni(t)ali della Meyers: ove il femminismo è sweet armonia
Furba, sì, Nancy, ma anche “retrograda” di nostalgico impianto che si riaggancia stupendamente al Cinema “desueto” d’un passato hollywoodiano scomparso, che lei fa riapparire fra squarci d’una periferia d’élite, illuminata da sprazzi solari tendenti alla plumbea notte “ubriaca” e l’omaggio commovente a Gene Kelly, scena d’antologia, con un De Niro incommensurabile, “piangente”, sull’orlo d’una emozionalità “superata”, da vecchia scuola appunto d’un Cinema (s)travolto da “social network” asfissianti e dal logorio frenetico d’un “progresso” che, nella sua superficie dolciastra, è meno potente del suo Cinema dolcissimo, garbato come una carezza a una bambina vestita di ros(s)a.
di Stefano Falotico