‘Taxi Driver’ 40th Anniversary Screening – 2016 Tribeca Film Festival
Questo mio seguente scritto è/sarà contenuto in un importantissimo mio libro presente/futuro. Quindi, vi dissuado dal copiare. Cooperate e ben felici copulate.
E ora…, sì, non ho ancora terminato la mia “omelia”. Voglio ora distrarvi, fratelli della congrega, con questa mia “esegetica” visione della vita, “spezzettata” in un film marmoreo che (r)esiste all’usura (in)delebile del tempo premente ma tal capolavoro non sopprimente. Noi siam qui, “irti” già in battaglia e agguerriti dinanzi alle nuove ostilità di questo nemico (in)visibile che tanto già tremar ci far. Abbiam vagato nelle notti timorose, arpionate a un Dio saggio che, dall’Altissimo, ci protegge e, se moriremo, custodirà le nostre memorie. Ma ieri, in quel di New York, mentre il genio del Pop, Prince, moriva in circostanze misteriose, s’è tenuto il quarantesimo anniversario di Taxi Driver, con quasi tutto il cast al completo, De Niro, sfoggiante la sua “caratura” da settantenne fra l’imbolsito e l’elegantissimo, con signora cara “a car(ic)o”, Grace Hightower, Jodie Foster in pantaloni da maschiaccio/a, Harvey Keitel con la moglie giovane, Cybill Shepherd invecchiata ma sempre angelo biondo, e il suo director, l’egregio Martin Scorsese, pronto per The Irishman…
A tal capodopera imperioso, dedico questa mia riflessione superba. Uditela, po(ve)ri di cor(p)i, respiratelo/a:
perché questo film, a distanza d’un quarantennio, è ancora in cima alle liste sui migliori film di tutti i temp(l)i? Perché incarna mellifluamente la vita. Oh, Travis Bickle, vampiro d’un (e)sangue suo scarnito, mohicano nella metropoli caotica, re della sua stessa entropia emozionale, mina vagante fra mille omaccioni in doppiopetto, lui, uno spe(tt)ro…
Che gironzola di notte, come una strega, con le scarpe tutte rotte e la sua anima a pezzi. E, tra una flessione orgasmizzante e l’altra, riflette, appunto, membra del suo (ri)membro sconclusionato, un diseredato oppure un illuminato? Chissà. Eppur si muove, pen(s)a, corre nelle sue vene cardiache e dense nell’infarto collettivo d’una società sull’or(l)o del collasso, cerca capri espiatori, spia, guarda nello specchietto retrovisore, medita e “addita”, parlando a sé nel suo mitologico You talkin’ to me?
Iroso, inquieto, bramoso e al contempo arrugginito. Non sta bene, non si accontenta dei materialistici peni, s’impenna e scribacchia nel suo diario di bordo ciò che lo costerna nel suo scheletrico sterno. Dentro la sua anima, ecco che spu(n)ta il suo starnuto.
Lavoro maledetto, che fa tramutar le persone in macchine obliteranti un tesserino da morti in vacanza e annichilisce i puri, castigandoli.
Vita sempre sul chi va là, che si affanna, si arrabatta, s’arrangia, vomita e s’eclissa. Schiava d’un padrone “meritocratico” che concorre per le presidenziali.
Sindaci corrotti, papponi bastardi e una prostituta da salvare. Il resto son solo chiacchiere. Un (ri)f(l)esso, un idolo, un capolavoro, appunto.
di Stefano Falotico