Cannes 2016: il giorno di Sean Penn con The Last Face
Ebbene, tocca a lui, assente da un po’ dai nostri schermi. Stavolta torna in smagliante, “controversa” prova da regista. E, agiograficamente, proprio io lo “descrissi” in un libro attualmente in vendita su Amazon e su lulu.com, Sean Penn e il Cinema springsteeniano, libro “battagliero”, leonino, arcuato nella poesia elevata del migliore Penn, attore scontroso, burrascoso come nella vita privata, dalle emozioni “violente”, irruente, tipo “non raccomandabile” e alle volte accusato di “pericolosità” per via del suo indomabile, innato carattere “particolare”, fatto di fortissimi slanci emotivi poco “omeostatici”, sempre sull’orlo della nevrosi troppo romantica, un sentimentale che perennemente si scontra, anche appunto, con le sue direzioni registiche, tutte “anomale”, personalissime, nel territorio della lotta per la “sopravvivenza” della propria alterità, del proprio stile individuale, dell’unicità per l’esattezza.
Vi consiglio questo mio libricino molto lirico che analizza Penn da una prospettiva unica, spero fascinosa e coinvolgente, in quanto, come sempre, provai a immergermi nel Penn “uomo” per (s)cavarne le sue dubbiose incognite, il percorso “frastagliato” eppur coerentissimo appunto della sua bizzarra, stravagante poetica emozionale nel Cinema puro, splendido e splendente come un diamante “acceso” nell’onirica beltà del suo crudele realismo, paradossalmente, (sin)cero… ché brucia ardente, rovente, proprio “rozzo” nella sua cristallina (im)perfezione, rude se va fatta bene.
Per The Last Face sceglie una storia delicata, “da starci attenti”, perché sulla carta, come tutti i film “umanitari” ambientati nel continente nero, “puzza” già di cartolinesco e illustrativo, di troppo calcolo studiato a tavolino, di troppo programmatico per piacere, per far la sua “porca” figura.
Ma dobbiamo vederlo. Sino ad ora, puntualmente, a scadenze (ir)regolari, Penn regista non ci ha mai deluso e ogni sua opera, a mio avviso, è (stata) un indubbio, profondissimo capolavoro.
Intanto, Sean invecchia, aggrotta la fronte e le rughe (s)colpiscono i suoi tratti da bel-“brutto” ribelle come Cheyenne d’un Sorrentino forse non troppo amato.
Come lui, non per tutti i g(i)usti, amante sciupafemmine e “stronzo” di nascita di gran (ca)risma.
di Stefano Falotico