Più passa il temp(i)o e più sono “matto” di/in De Niro, vero detective della mia fan(tasia)
Sì, il “tempio” del mio cul(t)o ove persevero vorace-mente ad affascinarmi nel neo(n) di Robert che, con suo indiscusso carisma, continua a sua volta a inanellare film “a iosa”, a ruota libera, passando da commediacce “intelligenti” a pellicole autoriali di ottimo livello, come Joy.
Sto rivedendo la prima stagione di True Detective e debbo ammettere che McConaughey “insiste” nello scolpire il mio immaginario “delirante-religioso-amletico” con la sua barbetta incolta, le basette “raggrinzite” nell’incanutir un volto invero ancora giovanissimo, a “sciuparsi” dietro pessimismi cosmici che han ben poco di comico ma verteranno a Carcosa nello scontro titanico col mostro di suo oramai collaudato monstre sacrissimo. Sacrosanto.
Eppure, nonostante le sue (non) recenti scelte sbagliate, “sbadigliate” di recitazione “sleeping”, De Niro rimane incontrovertibil-mente al primo posto, stagliandosi ancor più maggiormente sul podio del campione inequivocabile, perché quando c’è un’film con lui tutto m’è più chiaro e divengo chiaroveggente di visioni alla Rust Cohle.
Tutto riappare e di conseguenza scompare mentre il mondo, invecchiando a vista di “progresso” di non savia vi(t)a, s’affanna dietro futili ambizioni a me non utili, una società, sì, sempre più impost(at)a che mi squilibra, mi rende apatico e natural-mente infantile nel “regredir” lieve ove la levità m’è soavità e incanto di un altrove in cui gioioso, armonico, sparisco. M’annebbio apparentemente per in verità esser più lucido, più Luce.
E la darkness diventa un ingombro trascurabile, seppur sempre oscurante.
di Stefano Falotico