Gran Torino mi è or di ira
Questo pezzo farà presto parte di un mio nuovo libro e, sin da ora, metto in guardia chi vuol incolparlo, anzi copiarlo.
Rifletta prima di rubare.
Ecco, amici, prima di partire per quest’avventura che si profila pericolosa e “pericolante”, voglio accennarvi a un altro film di Eastwood, Gran Torino.
O meglio, ne parlerò in termini personali, “raggomitolandomi” nel mio aver esperito la vi(s)ta in maniera diversa, come i protagonisti del film, il “tardo” e Walt… Per tutta la mia giovinezza, trascorsa nell’assiduo tormento della mia “alterità”, fu un continuo, invasivo, cocciuto vedermi perlustrato nella sessualità e nei miei slanci d’adolescenze a me estranee, ché si vivevano con maggiore euforia carnascialesca dei lor corpi, imputriditi cuori. E me ne rabbuiai, solleticandomi nello sprigionato, alle volte anche estatico, sì, (in)ceder lento nella melanconia più incompresa. E, guerriero delle mie albe notturne, delle aurore splendenti d’una unicità tutta mia, ero in guerra col mondo, zuccherandolo per edulcorare una realtà a me lontana, distante per gusto e giustezza di spirito mio risonante in altre meditazioni, in superamenti della coscienza borghese e puttanesca, ove il “valore di scambio” è l’apparenza sociale, la maschera ingannevole del ruolo che c’attribuiscono. Ma ostinatamente non capirono e insistettero nel voler spiarmi, come quasi “covassi” una colpa da espiare, quand’invero quei (ba)lordi eran loro, sì, lordi e poco lord, a voler manomettere la mia naturale armonia grezza, istintiva, non “manierata” agli stili farlocchi di visioni del mondo, ribadisco con furore, a me orrendamente straniere, a me remote anni luce dalla mia ribalda, vivace, espansiva eppur introversa freschezza d’animo e di verecondi ansimi libertari. Sì, accovacciato vicino alle lune più “moribonde”, bevevo la nostalgia del mormorante incatenarsi di ricordi, accorpavo il vento perfino alla mia finezza mentale, espandendo l’io in proiezioni orgasmiche di me steso in un mar infinito e colorato di pulsioni, viste dall’esterno addirittura come una minaccia al lor “cheto”, stronzo mo(n)do di viver classista, nauseante, opprimente i diversi e le poetiche rinomanze di chi, elevandosi, non gradisce tutt’ora la poltiglia d’una massa becera e chiacchierona. Ma fui “accusato”, vivisezionato perché non capendo volevano capire, e m’insuperbisco invece adesso, come prima, iroso in quest’esternazione di ora rabbiosa, come allora, portatrice di verità del cuore giammai infranto e coraggioso, raggiante nella tiepidezza del tempo a me traditore, a me di questo crimine “incisore”. E non m’abbattei, anzi, a costo di farmi “uccidere”, d’esser suicidato, li affrontai a viso aperto e anche “ingenuo”, patendo la loro colpa nella ritorsione del misfatto. Ma sono qua e non me ne vado, combattente del mio esser (re)duce di tutto e non nazista di un beneamato cazzo.
Ora, forse non avrete compreso le mie parole, ma col tempo le introfletterete nel capirle, nel discernimento che, parimenti alla mia spero saggezza, vi sarà letizia e lietezza. Cristallina lucidità.
Pregate in pace, vivete tormentati perché ci son sempre nuovi reati, nuovi bastardi da vincere.
di Stefano Falotico