“Rumble Fish”, Review
Un pesce è sfuggito alle tenaglie del Tempo, all’erosione della società?!
Urla! Fuggi! Scopatela!
Fra i primi posti delle mie personali classifiche sul Cinema, primeggia questo capolavoro assoluto di Coppola.
Tracce di malinconiche estasi, “imbrigliate” in un gioco raffinatissimo di bianco e nero “raggelante”, fotografia immortale… di Stephen H. Burum tatuata a pelle di carisma Matt Dillon, gaglioffo irresistibile che sbeffeggia tutti su canottiera atletica, movenza di singhiozzi polmonari dentro e fuori un’adolescenza forse già infranta, appena sul punto d’attracco alle adult(er)e lotte degli “onori maturi”. In quella scuola, ribelli con volti indomabili in occhi languidi, celebrano Hemingway, disossandone i bagliori d’una saggezza più in là della frivolezza coetanea, delle didattiche ottusità ammaestranti da sfere con poca veggenza del nutrimento a origine della vita, la vita stessa che non può essere “incatenata” in frasi logorroiche di sofismi e cerebrali inezie poc’allineate al “disagio” vivace d’un Tempo che non tornerà.
Va vissuto e non “indolenzire” tu i lineamenti dell’anima nella dinamica delle “diagnosi” a “pedagogia” dei battiti di ammortizzato, patetico Cuore.
Sì, Kerouac fa breccia nel sogno arcaico di Coppola, tepore vitreo, corrugato nell’alcolismo d’un Dennis Hopper d’antologia.
Alticcio, sbronzissimo, morto dentro o disilluso dal suo orologio “difettoso”, allucinato a frammenti di quel rompersi per gustare il dolore dell’essere… esistiti. Il logorio mordace ritempra per paradossi temporali, fra amori linciati, altri sognati, un Nic Cage al “nepotismo” già raccomandato e “gaio” di lucky guy scapestrato, furbo a sistemarsi.
I grovigli dell’ansia, l’accigliato resistere a tutto, l’apocalittico fluttuare in moto sulla chimera da centauro d’un Rourke rudissimo, icona del romanticismo più sfrenato, osé e brandiano nel nero del “rinnegato”.
Ci sono film a specchio delle nostre emozioni, ingravidano il tintinnio della nostra sete di vita, sconquassano, lastran i sogni d’eccelse magnificenze, splendori perlacei indimenticabili. Agguantano le tue iridi, le “annebbiano” a vortice d’incantevoli incubi, pulsano, li riesumi, redivivi squillano a riviverti, a vertebre nella spezzata spettacolarità del Tempo “futile”, scorribanda di ricordi, d’odor di Donna, d’una Diane Lane civettuola e puttanella, di coglioncelli “a cazzo duro” nel ronzar come mosche nel pasto arido della nudità gagliarda. Un acquario, un fiore brucia e reciso s’invaghisce del “nulla”, balla e sobbalza come un neonato, piange, ride, si commuove, si dimena e poi triste s’inchina a tutti i morti già rannicchiati con fottuta riverenza nel culo. Perché Rusty è come suo fratello, motorcycle boy, forse aspettano la marea per il surfismo della fuga dai rimpianti, errabondi baceranno il sesso in arso abbacinar l’aurora tra corpi liberi, fra ascendenze antropocentriche all’evoluzione erronea.
Proveniam dai pesci, anfibi mutammo, eretti camminammo ma forse la via è cieca se tutti or zoppicano, forse la vita è una corsa.
Indietro nel Tempo, sospensione vagabonda, ondeggiar lucenti come l’unico pesce che ha distrutto la “gabbia”, nell’arcobaleno si pitta a fiammeggiar variopinto. Pindarici, librati angelici, a branchie fuori dal branco, dai banchi appunto di nebbia.
In pochi vedono la vita oltre le apparenze, quei pochi devon spaccar gli argini, rischiare per non morire.
Tanto trasgressivi per Natura non sono “adatti” al buio dell’umanità spenta. Ipocrita è lieta, eppur non gode appieno. I ragazzi sguazzan invece ironici, irritano, provan gusto a leccarla…, smaltan le labbra da veri spaccaduro, sono il realismo puro dei diamanti interiori nella pasciuta arroganza, i levigati trapezisti del circo giocoso fra tale orrore di maschere e applausi comandati, di ruffiani e stronzetti, di paninari e discriminazioni, mine vaganti e giullari tra i buffoni “seri”, il morso alla falsa chete, al finto clero si dichiaran “acclarati” figli di puttana ma, a perdersi per toccar le sacre sponde della Bellezza, gemon fra le cosce di una figa e il loro fuck you se ne frega di pregio avido, antico da guerrieri, da inguaribili teste di cazzo.
Come voglio che sia. In Lei… la vita, che figa.
Ribaltami, dammi Tempo, aspetta, prendo fiato. Ho fifa, spronami, spompa.
Sono Rusty il bastardo, il selvaggio, il Marlon Brando più fuori moda, picchio, che percosse.
Ora, togliti la gonna, dammi la scossa.
E la voglio turbinante, fremente, non frenarmi, incazza l’incalzare.
Non smorzare il mio gusto, succhiami.
Poi, violenta docile il Tempo (im)mobile.
Se non ti piaccio così, non so che cazzo offrirti.