Simon Silver torna “ammantato” dopo trent’anni, De Niro “tornò” tonitruantissimo e roboante dopo circa due decadi
Da noi, è uscito ieri, a un mese esatto dall’8 Dicembre, l’Immacolata…, il “mistero” della “fede” (anti)religiosa…
Ma facciamo un passo indietro, anzi avanti.
L’ultimo, vero capolavoro di John Frankenheimer nell’ottica inquadrata della voce “cutanea”, (im)permeabile e “di pelle” falotica…
Sì, Stefano Falotico recensisce Ronin, perla(ceo), gemma e pietra di paragone per ogni malinconico thriller–polar(e), un film anzi “intagliato”, nella morbida andatura recitativa di De Niro, col suo basco d’Incipit sfumato in un bistrot parigino, di Torre Eiffel svettante nella Notte che adocchia, occhi(olini) nel caffè francese, di baci “omonimi” a Natasha, d’inseguimenti scorazzanti e corazzati, di carrozzerie BMW, di fucili, mitragliatrice e pistole, di triade, forse di Hong Kong, forse intonate all’ultimo giro di boa e “boreale”, quando la Luce stinge nelle rugose membra, tenuissima le cela, il gelo gracchiante rannicchiato, i baci mai dati, mai amandosi perché (dis)occupate da “piccoli” lavori “fangosi”, James Bond senza il loro agente segreto perché “mercenari“, al soldo della solitudine, forse, o dei soli dall’alba mai davvero desta, (all’)erta nella Luna, “aleatorie” battute per stemperare la tensione, i nervi appunto tesi, la “neve” dell’anima, per inebriarsi nel manto di chi è temprato nel tenero e poi è tenebroso.
Jean Reno mai così poco smorfioso, di marmo, che però ammicca, aiuta, salva, sostiene, appoggia, combatte assieme anche se schierato sul “fronte” opposto, chi spia di PC in “trincea”, chi balla nei palazzetti di ghiaccio, Andrea Bocelli sulle curve, “osservate” dai binocoli “pinocchieschi”, della statuaria, bianca Venere di nome Katarina Witt, campionessa di pattinaggio, di queste sere(nate) da “diavolacci” all’adiaccio, laconici addii, l’agone della tristezza, o della Bellezza.
Firmato il Genius…
Fine di una Storia (?)
La carriera di Bob De Niro parte proprio dalla Francia, nei migliori auspici (non) americani di Tre camere a Manhattan.
Quindi, più “malinconico” di così di muore.
Da lì, il passo è brevissimo, collaborazioni a carburare, anche d’”esplosivi” con De Palma che lo presenterà a Scorsese, per una parte da Johnny Boy, “secondaria”, a dilatarsi nel pupillo delle “pupille” di Travis Bickle, borderline & Re per una notte, Max Cady o bravo ragazzo.
Icona del Cinema “violento” agli indigesti delle stolte romanticherie spicciolissime. Di film non da “spalluccia”, dico a voi stronzetti, sì, senza palle e alla spicciolata. Dai, spicciatevi ad ammirare la grande “roba”, drogati di stronzate malsane.
Due clamorosi capodopera, Heat e Casinò. Poi, ruoli “minori” ma che lasciano il segno, parlo di Cop Land e Jackie Brown. E la vetta suprema, ancor non eguagliata di Bob, da quasi un ventennio a questa “parte”, appunto, in Ronin. Già. Il suo personaggio si chiama Sam. Il cognome non c’è. Forse anche il nome è un “depistaggio”, un code name, un codice da man. D’amianto, di pianti, “mite”, un poì eremita, la calamita dell’azione, il fulcro, il perno, il “pericolo”. L’”allarme”. Le iridi “nere” che s’”arrossiscon” nel sangue.
Quindi, una “caduta libera” nella sparizione, nell’abisso “autoparodistico”, del Paul Vitti con leterapie da “boss”, con lo stress, il WASP della saga, del franchise (no, qua se magna solo-soldi-soldi-soldi-tanti soldi da pascià, di “alimenti”, evviva la “Spagna!”), delle “avventure” alla Ti presento i miei. Con tutti gli “episodi” a venire, dei figliocci che verranno, dei tuoi “gioielli di famiglia”, dei “nostri”.
Epigoni, l’epilogo del viale del tramonto definitivo?
Quindi, addirittura le alci e gli scoiattoli, un buttarsi via da “calci in culo”, da un grande attore che “sgattaiola” di recitazione “cagna”.
Eppure, il Bob non si ferma un secondo. Apre il Tribeca, elegge Obama a suon di conferenze stampa, stappa con Lui quando (ri)vince, azzecca qualcosina, “quaglia” diciamo…
E ques’anno si presenta con una lista impressionante di film da vedere, imperdibili.
Fra tutti, questo “strano oggetto misterioso”, Red Lights. Dovevo andarlo a vedere un’ora fa, ma il cinema da me “prescelto” è momentaneamente chiuso per “manifestazioni” che han “abusivamente” preso d’assedio il parcheggio. Quindi, dovevo “metter” la macchina a 3 chilometri di distanza. Si fotta(no)!
C’è tempo per guardarlo.
Ecco poi tutta la lista… (im)parziale.
Tutti presentabilissimi questa volta, d’ottime credenziali di registi non proprio cazzoni.
E, vedi un po’, potrebbe anche vincere l’Oscar per L’orlo argenteo delle nuvole.
Ah, che stagione fertile del nostro amore per il Bob.
Spariamoci questo “trip”.
Spadaccini, adoriamo la sua “scimitarra”.
“Schitarriamo”. E dire che, nelle ultime pellicole, mancò solo che “scatarrasse” e avevamo completato la “cataratta” di filmacci da “rutto” con il “Nun se pò vede’!”
Tanto che in molti, più amanti delle moto, gridarono: “Bob, hai rotto! Prima eri rombante, proprio un combattente, adesso come tutti sei stato trombato! Oh, sei pure tu un vecchietto! Fuori dalle balle, i giovani ballano! Sei solo un ripetente del carisma che fu. Furbone!”.
E invece no. Il Bob, quando meno te l’aspetti, è di nuovo a spettinarti e a “imbambolarti” d’ammirazione sfrenata.
Sfodererà, però di “vizietto” a cascarci, la mega-cazzatona cosmica che lascia scioccati, Grudge Match.
La storia di “Rocky Balboa” e “Jake La Motta” che se le daran di santa ragione.
Ragione? Forse…
Questo è De Niro! “Ascoltatelo!”:
Tagli crepuscolari con l’accetta
Sceneggiato da David Mamet, forse l’ultimo capolavoro di John Frankenheimer.
Con un cast stellare su malinconie d'”inseguimenti” accecanti nel “mozzafiato” senz’attimi di tregua, col Cuore in gola e la pellaccia da salvare. Costi quel che costi (lucro, missione mercenaria assoldata al “sorpassato” ma morale codice del samurai), “scavato” nei volti antichi d’uomini rocciosi e rabbiosi, amaramente “dolci” proprio nell'”acquiescenza” liquidissima d'”aforismi” dissacranti buttati lì, forse per noia, per troppe “coscienze”, per disillusioni insopprimibili come le ruvide, intagliate pietre d’asfalti imbruniti nella polvere, da spari soprattutto, e di mitragliatrici “sguinzagliate” a detonar “repentine” ma “calibrate”, come rapacissimi segugi notturni d’una Parigi “offuscata” nel sonno del dormiente caos cittadino di mattine ombrose dalla “tranquilla monotonia” borghese, mercatini e cascine intrecciate alla “topografia” del casino della nostra esistenza, ripresa dall’alto, dunque nelle sue viscere più incandescenti e “malavitose”, spiata e indagata con sottigliezza d'”irrimediabile” mestizia però vigorosa, morsa e “corsa” dentro le viuzze e i (rag)giri furbi, tortuosi, doppiogiochisti delle palpebre. Vedono, sanno, sudano, non dicono, esangui combattono.
Tutti soli e senza Dio, senza Sole forse. Agiscono perlopiù di Notte, già. Quando tutto, “tramontando”, s’accheta per istanti che aspettano solo la guerriglia urbana di chi fa lo “sporco lavoro” stipendiato per rischi “rampanti” e segretezze “annodate” sotto la patina (im)percettibile d’occhi “sinceri”.
O serpenteschi?
Un parterre di “agenti speciali”, una valigetta misteriosa…
Hitchcock coniò il termine, dunque l'”inizio” di tutta l’enfasi, il cosiddetto MacGuffin, pretesto narrativo e dunque “tramico” per imbastire l’azione nel suo punto “nevralgico” o solo a distrarci da e con un obiettivo capzioso, d’una pista che “falsifica” le vicende, è all’origine nascosta del complotto e dei destini, è lo “sfondo” fittizio d’una fitta rete di trame e inganni. Di amici, nemici, donne fatali e traditrici, di compagni bugiardi che (non) scopriranno le carte troppo presto.
Se… ironizziamo un po’, al televisivo MacGyver “bastava” un coltellino per cavarsi dagli impacci, sopravvivendo d’ingegno “ingenuissimo”.
Frankenheimer viene da una Scuola “un po’” più realista e allestisce proprio un’intelaiatura che, di primo impatto, si coglie adrenalica e “thrillerante“, ma che ha le sue ragioni proprio in un polar più “freddo” dei gialli di Alfred.
Ne perdiamo le tracce sullo sfondo della Torre Eiffel che occhieggia birichina, sulle innumerevoli battute da tenere a memoria, di cui perderemo il conto…
Anche quando un “triste” Jean Reno stringerà la mano a De Niro, dopo una tesissima avventura in cui, forse, sono ancora “vivi”, ancora sconosciuti d’identità (mai) con-fidate.
Ti rendi conto che esiste qualcosa oltre a te stesso che tu hai bisogno di servire?
Sono tutti amici finché non arriva il conto da pagare.