Le persone sono complesse, complessate, forse solo compresse

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Potrei descrivere questo periodo della mia vita come evanescente, convalescente, forse deficiente, di un’evanescenza che per sua natura è inviolabile, forse “aleatoria”, come la montagna di miei pensieri alla rinfusa che si fanno spazio nell’estasi disinibita della passione verso la poesia, mentre il mondo rientra dal mare in quest’afosa Estate.

Annoto sul taccuino delle mie cazzate il fatto, dunque il fallo, che molta gente vive appunto d’inibizioni e non si “scompiscia” nell’essere sé stessa, se non quando, violentata da traumi o eventi negativi che feriscono la loro vita, si enuncia nel sano “denunciarsi” al prossimo in rivelazione di sé.

Lynch sostiene che la gente non cambia, ma si rivela. Aforisma valido anche per gli invalidi. L’invalido, quando viene “convalidato” da eventi che gli mostrano la vita nella sua positività, s’incazza e svela il vero io arrabbiato come dovrebbe essere la gente non repressa da troppe timidezze che ne frenano lo spirito giustamente battagliero e att(r)accato alla vita. Pullulano i tuttologi, e io in questo scibile perverso mi rendo autentico, scoprendo le perle nascoste del mio me(rlo) che giacevano ignote nelle notti fredde di quando perseveravo nel reprimermi. Così, lontano dai castighi che assediarono la mia mente che si chiuse in incubi incendiari, rinvengo parti di me(ro) che fra poco abbracceranno l’inverno, invero.

Rileggo qualche libro di Stephen King per convalidare la mia bramosia verso le tenebre e le parti, dunque porte, infernali dell’horror che dà vita al nostro valore di uomini. Siamo senzienti, siamo complicati, dunque dobbiamo aggrapparci al nero fervido che sempr’aleggerà sopra il mondo banale.

I miei libri non vendono tanto ma non me ne rammarico. Piangerei lacrime amare se volessi svendermi, invece mantengo la mia coerenza fino in (pro)fondo. E in questa “povertà” che m’arricchisce sprofonderò.

La gente vuole essere consolata dai dispiaceri della vita quotidiana, che riserva spesso delusioni. E dunque è poco allettata da libri, come i miei, che cercano di esplorare le zone intime dell’umanesimo più complesso. Così funziona anche per il Cinema, e non mi stupisco perciò che un film come Silence sia stato poco amato, col “beneplacito” del fatto che la capigliatura di Andrew Garfield, nonostante quel che vede e passa, rimane perfettamente linda come quella cotonata di un cantante degli anni settanta. Licenza poetica di uno Scorsese che, forse, attraverso questo “errore clamoroso”, voleva incorniciare semplicemente “perfetta” la faccia di un Garfield a icona della purezza che non viene da niente e nessuno scalfita? Probabile.

Bevo l’acqua potabile.

E nel frattempo aspetto di mangiare gli ziti a pranzo, ripieni di sugo come la mia anima che vita vera trasuda, facendo scarpetta con chi mi considera solo un mascarpone.

di Stefano Falotico

 

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