Della vita e di altre sovrastrutture
Ti svegli baldanzoso, dopo che nella notte fonda udisti i tuoni potenti scagliarsi a raffiche di vento su questa Terra così peccatrice e funestata dalla sciocchezza.
Alcuni, credo, non si salveranno più. Fin dai primi loro respiri mattutini, le loro anime perse vengono tempestate da voglie di rivalsa, da odi atavici, da desideri assurdi di vendetta. E invece che, semmai, concentrarsi sulle loro ragioni, anche (se) discutibili, spostano il problema da un’altra parte e attaccano chiunque, lamentandosi invero solo della loro pochezza e di quei loro limiti che invece vorrebbero addobbare di saggezza. Patetici, deliranti, paranoici e, dinanzi a tanto lapalissiano, evidente disastro lor umano, devi anche tu abdicare al fatto, assai spiacevole ma ineludibile, che devi ammettere con grande tristezza e profondo cordoglio che ti trovi di fronte a persone che non ce la faranno più. Si beccarono delle diagnosi schiaccianti, ove venivano crocifissi entro compartimenti psichiatrici contro le cui generalità sbrigative io mi son sempre però combattuto, rischiando io stesso di apparir matto per la mia voglia inesorabile di voler cercare in queste persone altro che non fosse un certificato di malattia. Ma, ripeto, ci sono casi che purtroppo, lo dico davvero a malincuore, non si esimono da queste diagnosi e, per quanto uno si sforzi di comprenderli, aiutarli, sollecitarli a migliorare e dar loro fiducia, puntualmente tradiscono ogni buona, ottimistica aspettativa, e rimani sconcertato da quanto siano incoscienti di essere così stupidi. Sì, parliamo di stupidità, e basta. Qui, non ci troviamo più davanti a persone che patiscono un disagio, di qualsiasi natura esso sia. Il disagio, seppur sia, di prima impressione, qualcosa di disturbante e col quale difficilmente si entra in empatia, se ben canalizzato e curato può rivelarsi perfino illuminante, profetico, può essere il basamento psicologico che, fondandosi proprio sull’inquietudine del vivere, sul porsi importanti interrogativi esistenziali, può far scaturire idee brillanti, all’avanguardia, idee che hanno fatto, ad esempio, grandi quei pensatori moderni che hanno costruito le loro genialità appunto dal loro male di vivere. Filosofi, registi, scrittori hanno attinto dalle loro precarietà quotidiane per investirvi emozionalmente e, da questa continua, ostica resilienza, rinascere in forme evolutive del pensiero perfino progressiste. Catarsi dei dolori e delle incognite. Ma poi, ribadisco, t’imbatti in personaggi che invece tracimano solamente nei loro stolti disagi e ogni giorno, fuori da ogni logica, dissennano su tutto, dalle piccole alle grandi cose, con una perseveranza e una vigliaccheria da lasciarti allibito. Inconsapevoli che dovrebbero semplicemente mettere mano alla loro coscienza e fare un po’ di mea culpa sensato e autocritico. Invece, par gioiscano addirittura in questo lor (s)fiorire allucinatorio e grottesco, e sei costretto, dopo tanta solidarietà e simpatia, a lasciarli affondare nella loro melma e nel buio entro cui si accecano. Paiono, insomma, contenti della loro scontentezza. Oggi ce l’hanno con le autorità, domani col vicino di casa, domani col migliore amico, ieri ce l’avevano con sé stessi e probabilmente in quel caso avevano ragione. Permettetemi di esser loro sarcastico, un po’ d’ironia cattiva potrebbe essere la soluzione… Ma continueranno a recriminare, sfociando quasi nel diventare loro stessi dei criminali rispetto ai presunti “crimini” di cui accusano il prossimo, che per loro è uno che della loro dignità avrebbe abusato. Mah…
Costernato, proseguo per la mia strada. Agghiacciato da tanta spettrale penosità.
Io, invece, lo affermo in tutta modestia e coscienza, sono uno che cerca invece sempre la bellezza. Forse, questo continuo idealizzare la bellezza mi rende schiavo di una gioventù ribalda e sognatrice nella sua accezione più positiva. Non è retorica amare la bellezza, per quanto essa sia continuamente minata da chi fa della vita un monumento al puttanesimo e si svende all’offerente che gli garantisca facili illusioni e godimenti effimeri.
Perché io mi batto/a tanto contro il lavoro? Orbene, capitemi bene. Ritengo il lavoro qualcosa che può, sì, donare nobiltà all’animo di chi lo svolge con dedizione, passione. Altresì, il lavoro inteso soltanto come compravendita giornaliera in cui si dà qualcosa per ricevere in cambio lo squallido stipendio, be’, è alienante, qualcosa di freddo e asettico. E la tua vita, se cedi a questo raggelante patto “sociale”, è bella che finita. Sì, perché ti sarai adattato al più insulso mercimonio, e sarai uno che canterà ritornelli dalla romanticheria banale, soffocando i tuoi stress nella domenica calcistica per addormentare quelli che, prima di tutto questo schifo appiattente, erano i tuoi più intimi, sensibili desideri.
Non si nasce per la catena di montaggio, si nasce per dare un senso alla propria esistenza, non si nasce per “resistere” nel comune esistere, si nasce per inseguire la propria bellezza, e far sì che le nostre anime si esternino in qualcosa che possa essere di bel valore agli altri, in una comunione d’intenti produttiva alla gagliardezza del nostro essere vivi. Ciò non significa essere dei sognatori fessi, significa credere al valore della propria anima.
Alcuni invece si sentono uomini giusti se fanno la cosa “giusta”. Ma sfugge loro il senso non solo di giustezza ma anche di giustizia. Al che, per esorcizzare le loro colpe e i loro peccati, cercano il capro espiatorio in qualcosa o in qualcuno, proiettando, e qui torniamo al discorso iniziale, le loro angosce in qualcosa o qualcuno che possa incarnare la loro malattia di vivere. Allora ce l’hanno a spada tratta col governo, ce l’hanno col loro stesso lavoro che, e qui sta l’inghippo, odiano con tutte le loro forze ma fanno di tutto per mantenere e per mantenersi. In una reiterazione dello stato immodificabile del loro stato e anche, dunque, dello Stato.
Io, lo dico qui superbamente, perché me lo merito, appartengo a una categoria estranea… inclassificabile.
Molti maligni, sapendo che sono una persona “difficile” che, quindi, presuppongono, non possa avere relazioni affettive stabili e durature, in virtù, anche in “danno”, dei propri “limiti” caratteriali e persino genetici, pensano che io vada a puttane. Mi spiace deludere questa lor certezza assai malvagia, sono una persona che possiede, in cuor suo, un senso della morale molto alta, e il mio cor(po) può stare bene anche senza contrattare meschinamente una sessualità prostituita e prostituente. Con grande “rammarico” delle loro oscene cattiverie, queste, sì, soggiacenti al “facile costume” dei luoghi comuni e dell’invadente presunzione etichettante… Si chiedono? Ma come fa(i)? Faccio e, se proprio devo, mi faccio da solo… alla vostra faccia!
Poi, ci sono quelli che, prima che diventassero “famosi”, erano idealisti, portavano avanti con ruspante coraggio le loro idee, anche di cambiamento. Ma, una volta ottenuti gli stessi falsi privilegi che tanto criticavano, sono diventati dei critici e “sociologi” dell’aria fritta e si beano dall’alto di un piedistallo che è solo arrogante e plebiscitario. Li preferivo, decisamente di più, quando erano energici e “strani”.
Insomma, c’è chi ce l’ha con Dio, chi è senza Dio, chi attacca gli atei, chi attacca gli atenei essendo spartano, chi è spavaldo e vuole che gli umili siano ugualmente “ambiziosi” come lui, chi è anonimo e vuole 15 minuti di celebrità, poi, dopo che li ottiene, vuole i riflettori solo su di sé, e non riflette più. Meglio io, uomo riflessivo. Chi non vuole due fette ma tutta la torta e, una volta che se l’è mangiata tutta, esige anche la ciliegina. Anche il caffè. E a chi l’amaro?
Di mio, ho un romanzo da finire e una fettina di manzo, a pranzo, da lasciare a metà. Perché, come detto, son fatto di carne e ossa, ma non son molto carnale, sebbene sia mezzo carnivoro. Ah, poi ci sono i vegetariani. Ci sono anche quelli che vegetano, e ci sono i veggenti. Per non parlare dei cannibali. Che cani! Accidenti! Mi fa mal un dente. Ma come mai il dentista guadagna così tanto? Se mi fai male, ti addento. Poi c’è chi urla che ti mangia vivo! Mah…
Prima eri un agnello in mezzo ai lupi e ti dicevano d’infurbirti. Ora sei una volpe e a loro non stanno simpatici i “furbetti”. Se ti dai troppo da fare, ti danno un calmante, se ti calmi troppo, ti dicono che sei pachidermico. Se cresci in fretta, sei un bruciato, se ami qualcosa, ti dicono che è la tua passione bruciante, se vivi la vita con lentezza, soffri di elefantiasi. Insomma, mettetevi d’accordo.
Così sia. Andate in pace.
di Stefano Falotico