Della vita e della morte
Non so, è un periodo che ho strani pensieri in testa, ma non li considero disdicevoli, anzi, sono quasi benefici e salvifici. Da qualche anno a questa parte, penso spesso alla morte, alla mia, che sopravverrà certamente, mi auguro in tempi lontani, e anche a quella che inevitabilmente colpirà le persone care che mi circondano, anche se a dire il vero non sono molte, e spesso vivo di estreme solitudini. Non che non avessi saputo che un giorno sarei morto ma, come accade a tutti, sino a un certo punto della tua vita non ci pensi, e sei preso da cose più umane per rifletterci. Poi, arriva l’età in cui maturi e cominci a pensarci. Non so se sia un bene che alla mia età già mi ponga questa domanda. Ma, pormela, mi fa vivere con quell’angosciante lietezza che ti fa apprezzare in maniera maggiore tutti i santi giorni. Così, le antiche ubbie, le paure, le ritrosie, le viltà che ti hanno sempre travolto, ecco, scompaiono come se fossero state spazzate via dal vento della vita, e la vita stessa assume un sapore diverso, la guardi con più cautezza, con più scrupolosità. E può parere un paradosso, forse lo è. Ogni cosa ti sembra illuminata anche laddove invece non lo è. E i sentimenti di rivalsa, le ambizioni stolte, il desiderio assurdamente egoista di primeggiare, le false competizioni non annebbiano più il tuo cervello e non inquinano più la tua anima. Si vive in una sorta d’incredulità generale, in cui ogni istante può essere fatale e le sciocchezze scivolano, superate da una saggezza che ti permette di scremare il bello dal brutto, la facezia e le piccinerie dalle cose importanti, ove i valori in cui hai creduto ancor più ti valorizzano e sospingono, e risplendi trasparentemente sincero nel mar frenetico ove gl’incoscienti par anneghino in oceani di banalità soffocanti, sommersi da obblighi e autoinganni per cui tanto si affannano, con quelle voglie lor capricciose e bambinesche, anche quando sono all’anagrafe “adulti e vaccinati”, di voler sopraffare il prossimo, persi nella scemenza di chiacchiere vane, di vanità superflue, addobbati dietro apparenze alle quali non credono, in cuor loro, neppure loro, ma così presi dalla lotta effimera quotidiana, da desideri di affermazione, da superficiali frivolezze, da affondarvici ed esserne schiavi.
Così, passeggio mesto nella laguna dei miei pensieri, e un altro giorno striscia morbidamente di sua rinascenza leggiadra in quest’inverno sopravanzato. In un altro diario di vita scompaginato o solo disordinatamente inquadrato.
di Stefano Falotico