Il trailer di The Post di Spielberg e un suo fotogramma che fa impazzire Facebook

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Ecco, è uscito questo filmato. A mio avviso, a giudicare dalle primissime immagini, non facendomi ingannare dal pregiato duo Hanks-Streep, ci troviamo di fronte all’ennesimo film inutile di Spielberg. Un film che mi pare propugnatore di un Cinema vecchio come il cucco, ampiamente superato, distonico rispetto ai film degli anni Settanta come Tutti gli uomini del presidente (il cui personaggio del “cronista”, che fu di Jason Robards, qui viene impossessato dal solito bolso Hanks) che avevano una loro importantissima valenza perché figli del tempo. Mentre questa pellicola di Spielberg, girata in fretta e furia (le riprese sono partite, pensate voi, a fine Maggio e sino a fine Agosto non furono completate) per poter in extremis gareggiare agli Oscar, mi suona al solito studiata a tavolino, calcolatissima, retorica, nazionalistica, incentrata su quegli eventi della storia americana che, sinceramente, a noi europei interessano ben poco. Credo che mi sia sempre più affinato nella visione e nel cercare dal Cinema una poetica che maggiormente si allineasse alla mia anima. Un’anima, la mia, che non abbisogna più di queste colonne sonore pompose e “gridate in faccia”, che non si accontenta più semplicemente del film lussuosamente fotografato e d’impeccabile confezione estetica, ma che cerca qualcosa di più realisticamente artistico. Sono affascinato dal Cinema delirante, dalle sue astruse e barocche intelaiature, dalle storie assurde, non dalle “storie vere” così pedantemente ben orchestrate. Quando guardo film come questo, vengo sopraffatto dalla noia, e i loro fotogrammi mi scivolano via, inevitabilmente intristendomi di superflue emozioni, se mai dinanzi a questa “roba” dovessi ancora emozionarmi. Può anche darsi che pecchi di presunzione e non posso avanzare giudici soltanto da un trailer, semmai il film non sarà leccato e giocherà molto sulle schermaglie verbali, farà della sua “dialogistica” il fulcro magnetico di una narrazione che potrebbe riservare sorprese e colpi di scena lucenti. Ma spesso mi fido dell’istinto, che non sbaglia quasi mai quando, soprattutto come oggi, sono sincronizzato alla perfezione col mio più viscerale “apparato” emotivo-emozionale.

Al che, un mio amico su Facebook, inaspettatamente dichiara che si è lasciato assolutamente coinvolgere da un fotogramma, sì, uno solo, di questo “pesantissimo” trailer.

E scrive testuali parole in calce all’immagine che posta…

Poi arriva un fotogramma così, che si inghiotte in un solo boccone tutti i presunti ‘capolavori’ usciti negli ultimi mesi.

È un amico e critico che stimo molto, a cui replico con un lapidario, benevolente… a dir la verità mi sembra un fotogramma normalissimo, visto in migliaia di film ma, dato che sei tu, ti do ragione.

Lui, un po’ “risentitosi”, addirittura mi sfida a trovare almeno tre film che possano “avvalersi” di un fotogramma del genere, ove un uomo all’angolo, con in mano la cornetta in una cabina telefonica, quasi si nasconde e si fa piccolo al passaggio della volante della polizia, in una strada angusta attraversata dalla polvere, da cavalcavia e da sterminate vie asfaltate periferiche, forse di Los Angeles.

Io simpaticamente gli dico che forse sta scherzando e che basterebbe prendere la seconda stagione di True Detective per trovare fotogrammi praticamente identici. Tralasciando peraltro molte pellicole dei Seventies, fra cui in primis Il braccio violento della legge.

A queste mie frasi, mi viene detto che ho quindi perfettamente CENTRATO la suprema bellezza di questo frame.

A queste mie parole, un altro profondo conoscitore di Cinema vuol dire la sua, affermando esaltato che questo fotogramma gli ricorda le stimabilissime pellicole di Siegel e Lumet, aggiungendo poi un profluvio di parole… Però non si dovrebbe (pur “nel quadro” della rischiosa ma per me affascinantissima disciplina dei giudizi sui frame) limitarsi agli “elementi” presenti. Ma al modo in cui sono composti. Lo so, può suonare ovvio, ma secondo me la tua obiezione rende opportuno questo “richiamo”. Qui c’è la consistenza architettonica (e gioco di forme), sopra e sotto c’è direi un sentimento. Chi sta parlando alla cabina (il disegno del telefono sul metallo della cabina che concorda o comunque si integra con quei cavalcavia, per la distanza e chiarezza da cui e con cui è ripreso) è da solo, la macchina della polizia sull’altro margine dell’inquadratura, un edificio che “trapela” dall’incrocio dei cavalcavia. Insomma una relazione misteriosa, densa, nitida tra le parti. E a questo punto, sì, dipende dal proprio senso estetico, dal proprio gusto fotografico.

Realmente penso che ci sia un movimento propulsore in quelle forme (non trascuriamo sullo sfondo la “teoria” di strutture di sostegno o non so bene adesso come definirle) che crea una nicchia, che rende la sola figura umana al margine sinistro (simmetrica all’auto) acutamente “sensibile”. Poi è chiaro che non ho visto il film. Ma appunto credo nella possibilità di giudicare (o avere forti impressioni da) il singolo frame. P.s. giusto, anche Friedkin ci ha abituato assai bene, ma appunto i migliori.

Insomma, un solo fotogramma può scatenare tutto questo? Discorsi quanto mai affascinanti.

Quindi, esco alle quattro e mezza di pomeriggio per andare a prendere il solito caffè al bar del mio amico cinese, che non sa chi sia Spielberg e deve pagare il mutuo del locale e l’affitto di casa, altrimenti si troverà anche senza telefono, gettato in una strada…

Ho detto tutto.

di Stefano Falotico

 

 

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