Racconto di Natale di Stefano Falotico, la notte e la città di un uomo che ha vissuto veramente
Ebbene, lunedì sarà Natale, il Natale di questo fine 2017 in cui ancora gli U2 stanno lì sul palco a vomitarci le loro canzoni “ecumeniche”, figlie di un rock che non sa neppure cosa sia la parola “roccia”.
Sì, li disdegno, come non ho ritegno quando la gente mi dice che non ho un contegno, e spesso sono triste come Luigi Tenco. Quando mi arrabbio, devono mantenermi, anche se rimango sostanzialmente un mantenuto, nonostante un po’ di pancia sia ben tenuto.
Sì, lo so, farò la fine di Jack Warden e la mia sarà la simpatia di un vecchietto bukowskiano molto burbero e romantico quanto un uccello autunnale nel tramonto definitivo di ogni sogno di gloria, spirato laddove la vita, nella sua verità, a me si manifesterà senza più falsità.
Sì, Natale è il periodo dell’anno in cui tutti sono buoni quando, sino a poche ore prima della cena della vigilia, hanno tradito la moglie con una zoccola che si scopre che voleva una vita serena e invece per campare deve usare il suo sedere… Una vita che non ha avuto culo, anche se il suo, onestamente piacente e ben tornito, è molto “ambito” da quelli di soldi “forniti”-infornanti che, sui viali, “piacevolmente” si sfogano dopo una vita castigata in lavori per stare a galla. Ed è lì che i lupi, cari cedroni galli, (non) perdono il pelo ma il vizio si fa notti spingenti d’amplessi che li scaldano da piattezze refrigeranti di esistenze melense quando regalano alla compagna un diamante e poi non confessano le loro poco adamantine troiate da squallidi amanti. Ah sì, a Natale son tutti della vita amatori, e si cucinano il pollo Amadori, scartando il Pandoro.
Rimpiango i tempi in cui i canditi mangiavo con candore, e non dovevo mischiarmi a questi disgustosi umani (in)sapori. Eh sì, prima della cena lavatevi le mani col sapone e deodoratevi dal fetore del vostro squallido sudore…
Ma adesso voglio rallegrar voi che amate le favole e, come detto, le fave…
Quando ero nei pulcini della squadra calcio Bologna, andammo in trasferta a Torino per un torneo d’infanti. Io giocai solo tre minuti e molto scaldai la panca, sopra cui le vostre capre campano…
Sì, l’importante non è vincere ma partecipare, sosteneva, direte voi, Pierre de Coubertin, e qui cascano i vostri asini. Perché a pronunciare e coniare questa frase, buona per chi ama le consolazioni, fu il vescovo Talbot della Pennsylvania, sì, la Pennsylvania, la regione americana in cui nacque ma non morì Christopher Walken de Il cacciatore. Crepò in Vietnam di roulette russa, per la serie a questo “giro” tocca a te. Talbot… sì, omonimo come l’uomo lupo del grande Lon Chaney Jr.
Uno che si perse nei boschi assieme alla sua ragazza, una tipa molto topa alla Cappuccetto Rosso, e i lupi lo fecero diventare un licantropo, da cui il film Voglia di vincere con Michael J. Fox.
Ma torniamo a quelle notti calcistiche… sì, io giocai ma un mio amico non giocò neanche un minuto e alla fine, sul pullman che ci portava a casa, i genitori di tutti noi regalarono al mio amico il “premio” della coppa simpatia. Per la serie come distruggere l’autostima di un bambino ancor prima che possa trasformarsi in una persona prepotente e crudele come i grigi lupi che vanno a puttane…
Fine della storia. Lo so, è una freddura non meno gelida del clima nostro invernale ma, morale della favola, è che nella vita devi “alluparti” se non vuoi morire ubriaco di birra, cioè come gli uomini che amano il luppolo. Sì, la vita degli alcolisti è anonima…
Al che la mia mente va al sottovalutatissimo film La notte e la città, il remake di Night and the City, ah ah. Più ci penso e più credo che non sia affatto male come invece in molti dissero. E le immagini della baia e del mar che “abbaia” fra luci notturne sono come la mia natura sfuggente da “avvocaticchio” della mia anima.
di Stefano Falotico