Black Mirror, quarta stagione: Arkangel

Arkangel

Eh sì, Black Mirror, nella sua asciutta nitidezza formale, nella sua concisa sinteticità, nel suo affastellar temi sociologici mischiati alle nuove rivoluzioni tecnologiche, nel suo portare alle estreme conseguenze i “risvolti”, anche atroci e ferinamente inquietanti, della modernità, sta sempre più attecchendo nella mente degli spettatori, creando una sorta di prolungamento avveniristico delle nostre emozioni “virtuali”, e noi stessi ce ne plagiamo ed effondiamo, esplorando le parti oscure del nostro umano progredire laddove il futuro si prospetta tanto radioso quanto allarmante, sinistramente minaccioso.

Stavolta è il turno di Arkangel, episodio già sulla bocca di tutti perché è firmato dal due volte premio Oscar Jodie Foster. Un’attrice sempre impegnata nel sociale e ci accorgiamo, se andremo a scorgere nella sua filmografia “registica”, di come sia stata sempre affascinata dal tema della maternità e del difficile compito educativo genitoriale.

Fin da subito, veniamo immersi nell’atmosfera spaventosamente asettica dell’impianto scenico. Ecco una madre in sala parto, ci sono delle complicazioni, ma poi tutto si risolve ed esce una bella bambina. La madre però, vedendo gli infermieri accalcarsi attorno al feto, non mostrandole l’appena nascitura, si preoccupa e grida allucinata, domandando ad alta voce ai medici se la bambina è “normale”. Viene presto rassicurata e finalmente stringe la sua creatura fra le braccia.

Ma già da questi dettagli possiamo intuire l’eccessiva “apprensività” di una madre morbosamente legata al sangue del suo sangue. Non ci viene detto da chi abbia avuto la bambina e non lo sapremo fino alla fine, sappiamo solo che questa donna vive col padre, molto anziano, che poi morirà, che ha una bella casa ed è ossessionata dalla figlia, di nome Sara.

Al che, si rivolge a degli specialisti nel campo della sperimentazione, che installano alla bambina di soli tre anni un microchip comunicante con un tablet, che la madre in qualsiasi momento può visionare, che trasmette “in diretta” lo spazio visivo, oculare della figlia e attraverso il quale la madre, monitorando ciò che vede la pargoletta, può addirittura applicare una specie di filtro che censura e annebbia le immagini, pericolose o violente, della vita reale di tutti i giorni che potrebbero generare nella figlia stessa ansia o turbamento.

Comprendiamo, noi spettatori, fin dapprincipio, quanto nelle ragioni di questo smodato “controllo” vi sia qualcosa di morbosamente distorto nella relazione fra la madre e la giovanissima figlia. La madre non si staccherà da questo strumento per molto tempo, poi deciderà di lasciar stare, ma solo momentaneamente. Poiché, come umanamente accade, la figlia crescerà e comincerà inevitabilmente a fare le prime esperienze, anche sessuali. È allora che la madre s’insospettirà, le sue preoccupazioni aumenteranno a dismisura e si rivolgerà nuovamente ad Arkangel… con conseguenze nefaste…

Al solito, un episodio su quanto la tecnologia possa influire sulle relazioni umane. E il quadro che ne sortisce è quello di una madre malata, patologicamente maniacale nello spiare le azioni della figlia, assillata in maniera esasperante dal suo ruolo materno, la quale pare che per tutto il tempo sia presa soltanto da un’insistente domanda che, in agghiacciante silenzio, rivolge continuamente al suo cuore: sono una brava madre, un’educatrice corretta? E più si espanderà quest’ossessività riguardo il suo ruolo di madre che vuol essere perfettamente “giusta” più la sua apprensività sfocerà nella paranoia, nell’isteria.

Ma concentriamoci sul concetto di apprensività. È una parola che nel vocabolario non esiste ma che viene spesso usata in ambito psichiatrico per riassumere, in senso comportamentale e psicologico, tutta quella serie di irrazionali atteggiamenti e ingiustificate premure “messe in moto” per contrastare eventi temuti, effettuate soprattutto a livello inconscio per mettere a posto la propria coscienza e tranquillizzarla. E che in particolar modo è tipica di persone insicure che, nella loro ingenua volontà di far del bene alle persone loro care, non si rendono invece conto di arginarne il libero arbitrio, minando le autonome, inviolabili emancipazioni personali.

E in questo risiede la criticità del personaggio interpretato dalla “calcolatrice” Rosemarie DeWitt che, nei suoi eccessi, è lapalissianamente un esempio calzante di quel genere, potremmo dire, di genitore… “mostruosamente” legato di “cordone ombelicale” inscindibile ai figli o alla figlia, come in questo caso.

Arkangel è un episodio forse non particolarmente innovativo e abbastanza prevedibile nei suoi sviluppi narrativi che però fa riflettere e pone interrogativi non del tutto banali, come invece potrebbe sembrare a una prima visione.

 

di Stefano Falotico


 

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