Racconti di Cinema: Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter
Ebbene, il prossimo 25 Ottobre uscirà nelle sale italiane Halloween di David Gordon Green (Joe, Manglehorn), vero e proprio sequel non apocrifo dell’originale, poiché prodotto dallo stesso Carpenter, regista capostipite di questa perla inaudita, l’ancora imbattuto, seminale Halloween – La Notte delle streghe.
Siamo nel 1978 e Carpenter ridefinisce un vero e proprio genere, inaugurando il filone slasher.
Cos’è nel Cinema lo slasher movie? Lo slasher, da non confondere assolutamente col più generico splatter, trae il suo nome dal verbo inglese to slash, che significa ferire in maniera profonda e letale con un’arma appuntita e affilata, e dunque si riferisce ai film horror in cui il protagonista è uno psicopatico omicida, un efferato maniaco che prende di mira, spesso in un geografico spazio ristretto o abbastanza limitato e circoscritto, come può essere un quartiere, un gruppo di persone perlopiù molto giovani, e intraprende contro di esse una spietata caccia brutale, uccidendole con armi da taglio, con coltelli acuminati oppure con grosse asce, per sventrarle e dissanguarle in modo micidiale.
Sì, come da sinonimi del verbo ferire, il protagonista barbaramente uccide violentissimamente le sue designate vittime, accoltellandole, pugnalandole, piagandole, trafiggendole, squarciandole indelebilmente, spesso mortalmente.
Ma Halloween non è solo questo. È, sì, un thriller furentemente sanguinario e suburbano, claustrofobico e tremendamente angoscioso, radente come un coltello dalla lama finissima, come suspense in perenne espansione, dilatata in trazione tesissima, distillata in vertiginoso crescendo inarrestabile e incalzante, ma è anche uno degli imprescindibili, profetici capofila del nuovo Cinema sugli assassini, un film nerissimo come può essere, appunto, il babau delle favole nere per bambini, colui che incarna il male nella sua accezione più pura e inquietante. Ma ci tornerò dopo…
Partiamo dapprincipio dalla trama.
Anno 1963: un bimbo di sei anni uccide a coltellate sua sorella in una notte buia, dopo che lei e il suo ragazzo hanno amoreggiato. Il bambino, di nome Michael Myers, viene rinchiuso in manicomio. Una tragedia di proporzioni devastanti.
Dopo quindici anni, in una notte di pioggia battente, Michael Myers evade dal manicomio criminale. È la notte del 30 Ottobre.
Il suo psichiatra, il dottor Loomis (Donald Pleasence), che ce l’ha in cura, o meglio in custodia sin da quando Myers è stato trasferito in manicomio, comprende immediatamente che Myers è tornato nella sua città natia, Haddonfield, e la mattina seguente avverte lo sceriffo, mettendolo in guardia sulla sua estrema, potentissima pericolosità. Va catturato quanto prima, prima che il male possa propagarsi e partorire altre irreversibili mostruosità.
Mattina del 31 Ottobre: seguiamo le scaramucce e le schermaglie adolescenziali di tre studentesse tanto disinibite quanto pudiche e timide, complessate, in preda all’imbarazzante turbinio dei loro ormoni su di giri, che si scambiano erotiche confidenze segrete sui ragazzi della scuola.
In particolare, seguiamo la vicenda (e Carpenter la “pedina” con insistiti e quasi ammiranti piani-sequenza) di Laurie Strode (Jamie Lee Curtis).
Mentre lei e la sua amica tornano da scuola, Laurie vede apparire, prima da dietro un cespuglio e poi dalla finestra di casa sua, uno strano figuro molto alto, con una tuta da meccanico, che indossa una lugubre, bianchissima maschera in viso. Lo rivela ad Annie ma lei non gli crede.
Entrambe le ragazze, nella notte di Halloween, così come vien detto nel film, “babysittano”, questo è il verbo che testualmente è utilizzato nel doppiaggio italiano, sì, nella notte di Ognissanti fanno le bambinaie a dei pargoletti.
Scende la notte di Halloween, Michael Myers si aggira indisturbato nel tetrissimo quartiere, spia Annie, e alla fine la sgozza. È appena cominciata la strage, il male oscuro è ritornato veemente in tutta la sua spasmodica, invincibile furia, e altri due giovani saranno ammazzati, la coppietta formata da Bob e Lynda.
Laurie capisce che qualcosa non va, abbandona i bambini, e s’inoltra nella casa del diavolo… diciamo così.
Ed ecco che fa il suo primo incontro con Michael Myers. Lui prova a ucciderla, avviene un combattimento corpo a corpo quasi all’ultimo morso, Annie lo ferisce più e più volte ma Myers sembra immortale e puntualmente resuscita.
Sinché, non sopraggiunge sul luogo il dottor Loomis, che spara a Myers ripetutamente. Myers, senz’emettere un solo grido di dolore, accanitamente trivellato, frana abbattuto e cade giù dalla finestra. Schiantandosi nel cortile sottostante.
Il Male è stato sconfitto. Stavolta, una volta per tutte, il mostro è stato ucciso.
O forse no… il dottor Loomis volge nuovamente il suo sguardo in direzione di Myers, ma non c’è più il suo cadavere a terra. Probabilmente, però, è stata solo un’allucinazione dello sconvolto dottor Loomis, e Myers invece è davvero morto, il male è stato sepolto e annichilito, segregato all’inferno.
Un finale enigmatico, allusivo, funereo, ma il fantasma di Michael Myers aleggerà ancora in città. Nel suo mito.
Perché Myers è la simbolizzazione archetipica di un incubo materializzatosi. Sì, come ha fatto a scappare dal manicomio con tale scaltrezza e velocità di riflessi, come ha fatto a guidare la macchina come un provetto automobilista se è sempre stato fra le anguste mura dell’ospedale psichiatrico? Lui può… perché Myers non è un uomo, come ribadisce terrificato Pleasence allo sceriffo, è un fantasma, è l’immaterialità impalpabile dell’innocenza del diavolo. Myers non ha coscienza, è un uomo inguaribilmente malato seppellito nella psiche di un bambino alienato, disturbato, pauroso, glaciale come il volto più nitidamente orripilante della paura, la disumanità, la bestialità truculenta e senz’anima fatta The Shape…
Carpenter attinge da Psyco e dalla sua celeberrima scena dell’uccisione maniacale nella doccia per allestire questo capolavoro “assillante”, asfittico, ritratto crudelissimo di un’umanità senza speranza, avvelenata alla base dall’inevitabile presenza del male assoluto, irrevocabile, invulnerabile.
Ecco allora che fa esordire l’appena ventenne Jamie Lee Curtis, memore del capodopera di Alfred Hitchcock, perché in quella storica, indimenticabile doccia fu ucciso il personaggio di colei che era davvero sua madre nella vita reale, Janet Leigh, ovvero l’iconica Marion Crane.
Come dirci che il male è eterno, non si può vincere e annientare, è un morbo innatamente, dannatamente facente parte del codice genetico dell’uomo, un virus ereditario che si trasmette, tramanda e ramifica attraverso le consanguinee generazioni, di padre in figlio e di madre in figlia, sotto forme sempre parimenti raccapriccianti ma inscalfibili. Il male fa parte di noi.
Carpenter concepisce la vita così. Per lui horror, sogno, incubo, realtà sono un tutt’uno inscindibile. Che non si può eludere, al quale non ci si può, pur combattendo con tutte le nostre forze, sottrarre. Un maremoto uniformemente meraviglioso quanto tormentoso, un continuum indivisibile, un lacerante brivido freddissimo sulla schiena.
In Psyco era incarnato mellifluamente, in maniera ambiguamente diabolica da Anthony Perkins/Norman Bates con la sua indecifrabile faccia d’angelo, in Halloween da Michael Myers. L’uomo nero senza espressione, coperto da una smorta “maschera di cera”, per l’esattezza di lattice.
Tutto parte o meglio riparte da Halloween – La notte delle streghe.
Il film, dopo l’elettrizzante tema musicale della colonna sonora al solito di Carpenter, ribattezzato Halloween Theme, e riutilizzato in tantissime pellicole, viene aperto da una filastrocca che c’introduce nell’atmosfera di quest’infausta notte stregata, recitata da dei bambini con voce off.
Eccola correttamente trasposta, non fidatevi delle “wikiquote” sul web, peccano difettosamente di approssimazione:
«Malocchio e gatti neri, malefici misteri,
il grido di un bambino bruciato nel camino,
nell’occhio di una strega il diavolo s’annega
e spunta fuori l’ombra, l’ombra della strega!
La vigilia d’Ognissanti c’han paura tutti quanti:
è la notte delle streghe!
(Chi non paga presto piange!)»
Halloween – La notte delle streghe è certamente un po’ invecchiato ma quel che è venuto dopo gli è immensamente debitore. Il Nightmare firmato Wes Craven col redivivo, sfregiato e ustionato Freddy Krueger, il suo Scream coi suoi adolescenti sessualmente smaniosi ma incerti, timidi, impacciati e titubanti, aggrediti senza sosta dal maniaco mascherato, e chi più ne ha più ne metta. Se stessimo a elencare perigliosamente tutte le pellicole posteriori ispirate da e a Halloween non finiremmo più.
Ma se in Nightmare il male veniva incarnato all’interno delle pareti d’un incubo vero e proprio, per Carpenter la vita stessa è un sognante incubo, l’incubo della vita profondamente reale, l’incubo strisciante delle nostre imperiture, tormentate notti sinistre.
E le sue soggettive con la steadicam, che visualizzano il punto di vista del mostro, hanno fatto scuola.
Impressionante soprattutto la soggettiva dell’incipit. Memorabile.
Curiosità: in molti dizionari viene superficialmente ed erroneamente scritto che Michael Myers è interpretato da Tony Moran. Vero, ma Moran ha girato soltanto la brevissima, fuggevole scena di pochi secondi in cui, strappatagli la maschera, Myers appare per un istante ritratto in viso.
Michael Myers a sei anni è interpretato dal biondino Will Sandin. Ma The Shape/Michael Myers, il figuro che cammina nella notte e ammazza, è l’attore Nick Castle.
Ed è infatti lui che tornerà nell’Halloween di David Gordon Green.
Infine, piccola chicca per i cinefili: il personaggio di Annie Brackett, la migliore amica di Laurie, è interpretato dall’attrice Nancy Loomis (pseudonimo di Nancy Kyes), ma non abbiamo mai appurato da fonti certe se Carpenter abbia volutamente usato l’omonimo suo cognome Loomis, affibbiandolo poi a Donald Pleasence e al suo famigerato dottor Loomis.
Naturalmente, sapete che il nome del personaggio di Pleasence, Sam Loomis, è un doveroso omaggio proprio al John Gavin di Psyco.
di Stefano Falotico