Run All Night – Una notte per sopravvivere di Jaume Collet-Serra, con Liam Neeson e Ed Harris
Ebbene, oggi recensisco Run All Night – Una notte per sopravvivere dello spagnolo, oramai trapiantato a Hollywood, Jaume Collet-Serra. Film che segna la sua terza collaborazione con Liam Neeson, prima della quarta, L’uomo sul treno.
Su sceneggiatura originale di Brad Ingelsby, Collet-Serra, è il caso di dirlo, allestisce un film della durata serrata di quasi due ore piene di adrenalina e interminabili colpi di scena, servendosi del corpo massiccio e del viso sempre più spigoloso di Neeson e della faccia di pietra, da morto vivente, dello straordinario Ed Harris, il quale nei duetti con lo stesso Neeson (bellissimo quello, lancinante e sofferentissimo, alla tavola calda) ruba a quest’ultimo puntualmente la scena, sfoderando un magnetismo espressivo degno del suo indimenticabile volto scavato da macilento filibustiere del grande schermo. E qui, nonostante non sia il protagonista, sfruttando appieno tutto il suo mortifero sguardo acquoso, imprime al suo personaggio una caratura quasi biblica.
Stando all’enciclopedia libera Wikipedia, la trama è questa:
Jimmy Conlon è un ex killer di origini irlandesi tormentato da innumerevoli sensi di colpa che cerca inutilmente di annegare nell’alcool. Il figlio Michael non vuole avere nulla a che fare col padre nel tentativo di creare per sé e la propria famiglia una vita perbene. Ma il destino complica le cose mettendo Michael a confronto con Danny, il figlio criminale e tossicodipendente del boss irlandese Shawn Maguire. Shawn è anche il capo di Jimmy e suo amico fraterno: entrambi appartengono ad una generazione entrata nel crimine più per mancanza di alternative che per scelta, entrambi sono legati ad un codice d’onore che la generazione dei loro figli ignora o disconosce.
Aggiungo io, in seguito a un rocambolesco misfatto, Danny (Boyd Holbrook) si mette nei guai.
Shawn (Harris), per risolvere il casino scatenato da suo figlio Danny, contatta il suo inseparabile amico Conlon (Neeson), un uomo che oramai, a parte Shawn, non ha più amici e si trascina stancamente da ubriaco marcio in una città livida e funerea nella quale, meditabondo e angosciato dal suo irrimediabile passato di crimini e violenze, vaga perduto come un clown sardonicamente rattrappito dalla sua inguaribile amarezza esistenziale. Un lupo solitario prosciugato nell’anima, incupitosi nella perdizione dei suoi irreversibili, infimi peccati infiniti da irlandese bugiardo.
Conlon accorre a sua volta a casa di suo figlio Michael (Joel Kinnaman) con cui non scorre affatto buon sangue. Danny, da scavezzacollo irrecuperabile, fa irruzione in casa di Michael e sta per ucciderlo quando, tutt’a un tratto, Conlon lo trafigge mortalmente con una pistolettata fatale.
A questo punto, Conlon diventa l’assassino del figlio del suo unico e migliore amico, Shawn. Shawn vuole vendicarsi e, in una notte buia come la pece, stropicciata da fugaci lampi nel cielo sanguinosamente tetro, senza un attimo di tregua dà la caccia a Conlon e a suo figlio. Assolda anche un sicario spietatissimo e apparentemente infallibile, una sorta di lugubre, taciturno Terminator vestito da impiegato, il monolitico e statuario colosso Andrew Price (Common). Nel mezzo di questa sfida infernale, abbiamo anche l’infermabile, luciferino detective John Harding (Vincent D’Onofrio).
Che dire? Un thriller d’annata, sorretto da un Neeson sempre più macho action che continua nella sua nuova linea attoriale da giustiziere feroce afflitto da logoranti e inestirpabili complessi di colpa, un duro irredento alla Io vi troverò, il cui personaggio pare una variazione di quello da lui interpretato ne La preda perfetta. Altro film imperdibile. Nonostante la psicologia dei personaggi sia un po’ tagliata con l’accetta e il film abbondi di molte stereotipie manichee, si lascia guardare volentierissimo grazie all’impartitovi ritmo frenetico di una vicenda, come detto, spericolatamente inzuppata di suspense ottimamente calibrata e magistralmente diretta da un Collet-Serra assai ispirato.
La cui furiosa ed energica regia, tecnicamente ineccepibile, tocca sublimi picchi vertiginosi e funambolici in strepitosi voli d’angelo della macchina da presa, molto suggestivi, sebbene avvalsisi di una finissima, e comunque mai invadente, computer graphics meticolosamente tagliente.
Il film è una specie di Guerrieri della notte in veste di poliziesco-western metropolitano, un Die Hard sui generis scandito da un’irruenza cinetica, contrappuntato da un’azione caotica, scintillante e turbolenta, modellato sul grintoso Neeson e soprattutto languidamente, ipnoticamente illuminato dal mortuario e malinconicissimo Ed Harris.
Un film, a mio avviso, parecchio sottovalutato dalla Critica all’epoca. Non un capolavoro ma un prodotto di genere decisamente superiore alla media. Che tiene incollati alla sedia, o poltroncina se preferite, per tutti i suoi dinamitardi centoquattordici minuti vigorosamente emozionanti.
Ripeto, i personaggi sono leggermente plastificati e assistiamo al solito, alquanto banale, scontro fra buoni contro cattivi ma Collet-Serra, pur non lesinando in alcuni patinati estetismi di maniera e non imprimendo quasi mai la sufficiente forza introspettiva alla storia da lui filmata, sa eccome il fatto suo e ci regala perfino alcuni momenti davvero affascinanti ove mischia aziona purissima e mozzafiato inseguimenti al cardiopalma a buone riflessioni etiche, dosando la sua estetica stilistica, appunto, scuramente brusca e radente, ad audaci virtuosismi dalla robusta costruzione sanamente spettacolare.
Da vedere.
La sola, vera nota negativa è forse Joel Kinnaman, non adatto in questo caso alla parte del fragile ragazzo spaesato ma coraggioso.
Perché pare più che altro un dannato belloccio molto imbambolato e anonimamente sciupato.
Cammeo non accreditato del mitico Nick Nolte.
di Stefano Falotico