JOKER, recensione
Ebbene, ieri mattina abbiamo visto per voi, in Sala Grande alla 76.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, uno dei titoli senz’altro più attesi di quest’imminente stagione cinematografica, ovvero il già chiacchieratissimo Joker di Todd Phillips con Joaquin Phoenix.
Passiamo ora al passato remoto poiché Joker è già ascrivibile alla storia…
Alla fine della proiezione stampa, le luci lentamente si accesero nel fiammeggiare roboante d’applausi scroscianti, sì, come per divinatoria magia scattò in automatico un’ovazione interminabile a celebrare Joker, una pellicola che chi scrive questo pezzo considera già un micidiale capolavoro indimenticabile della storia del Cinema, un dark masterpiece eretto in gloria magnificente dal suo protagonista maestoso, inarrivabile, superlativo e prodigiosamente terrificante per bravura, potenza espressiva e spaventosa mimica impressionante, vale a dire Joaquin Phoenix. Il quale, con questa sua monumentale prova immensa, posso affermarlo in maniera sacrosanta e sentenziosamente indiscutibile, ha già altresì fornito una performance leggendaria, paragonabile per immediata, virulenta caratura magnetica a quelle che io reputo le interpretazioni assolutamente più intoccabili e ipnotiche della più suadente, perlacea arte attoriale.
Sì, a mio avviso, il Cinema è stracolmo d’interpretazioni attoriali superbe ma sono pochissime quelle così tanto immanentemente così potenti da estasiare in modo tanto istantaneo, accecante e ad entrare sfolgoranti nell’immaginario collettivo con subitanea dirompenza e grandiosa, vividissima prepotenza.
Penso a Marlon Brando/Terry Malloy di Fronte del porto, a Robert Mitchum/Harry Powell de La morte corre sul fiume, a Christoph Waltz/Hans Landa di Bastardi senza gloria e ovviamente a Robert De Niro/Travis Bickle di Taxi Driver.
Che, come sapete, in questo Joker interpreta la parte minore ma assolutamente imprescindibile e (luci)ferina, abbastanza ripugnante e volgarmente odiosa di Murray Franklin, conduttore televisivo d’un satirico, acidissimo show televisivo destinato al triviale, superficiale, conformistico pubblico di massa statunitense. Murray sarà uno dei principali, involontari responsabili della rovinosa degenerazione della mental illness di Arthur Fleck/Joaquin Phoenix. Il quale, abbattuto infatti da una vergognosa irriverenza imperdonabile di Franklin, assistendo alla messa in onda d’un suo spettacolo imbarazzante da stand–up comedian patetico, a sua insaputa ripreso dalle videocamere del locale in cui ingenuamente s’esibì, in cui fu violentemente deriso e trasmesso in diretta nazionale per essere dato in pasto al crudele ludibrio dello scellerato popolo americano, impazzirà definitivamente.
Trasformandosi nel tenebroso, spettrale, raccapricciante principe del crimine per antonomasia di Gotham City.
Ora, penserete voi… allora Joker di Todd Phillips è davvero un cinecomic a tutti gli effetti e questa è la storia romanzata, riveduta e corretta, fantasticata e personalmente rielaborata d’una delle icone villain più famose dei fumetti, cioè Joker è un film incentrato sulle sue origins che si attiene piuttosto fedelmente, così come fu inizialmente detto, a Batman: The Killing Joke?
O è invece esattamente un omaggio alle atmosfere tetre e cimiteriali, malinconiche e pessimistiche del succitato Taxi Driver, ne è una perpetua citazione meta-cinematografica associata alla profetica disillusione sardonicamente beffarda di un altro emblematico, gemellato, immortale capolavoro scorsesiano, ovverosia Re per una notte?
Joker è un geniale mix di queste due opere magne di Scorsese, certo, difatti reminiscenze di tali pellicole, oserei dire, oracolistiche e ammonitrici di Scorsese si ravvisano durante tutte le 2h e due minuti del film, si respirano nelle taglienti battute scritte da Scott Silver, permeate perennemente d’un denso sapore amaramente canzonatorio e profondamente impietoso nei riguardi dell’attuale società folle, grottesca e paurosa in cui noi tutti, chi più chi meno, siamo precipitati in maniera allarmante, forse irreversibilmente tragicomica, patibolare e funerea.
Ma Joker è soprattutto un allucinante e allucinato horror mascherato da cine-fumetto sui generis ove Arthur Fleck probabilmente altri non è che il fantasma malato di Eric Draven/Brandon Lee de Il corvo, un uomo creaturale e romantico bruciato nell’anima da un mondo spietatamente efferato che, oscurandogli l’amor proprio sin dalla nascita, lo condannò inesorabilmente immisericordioso alla cupezza più glaciale, catacombale e mortifera, ardendolo e soffocandolo nel buio perpetuo della sua infernale, esiziale, oscena, pestilenziale, tremenda, incalzante, sempre più orridamente crescente follia e vivida tenebra magmatica furentemente poi rinascente nella bestialità d’un lupo mannaro furibondo e travolgente, ruggente come un leone ora sbranante la disumana incoscienza di tutti i criminali benpensanti che scalfirono la sua innata e al contempo disperata innocenza, un uomo risorto, indomabilmente agguerrito come un condottiero cheguevariano schierato ferocemente in battaglia a difesa di tutti gli umiliati, di tutte le cosiddette anime considerate ingiustamente deboli e vigliacche, elevatosi a paladino infrangibile, a totemico, ghignante, beffardo e demoniaco babau delle notti più macabre.
Al fine di combattere per sempre contro colui che apparentemente sarà la sua nemesi o semplicemente potrebbe essere il suo amatissimo-odiato fratello, Batman?
Joker, un uomo malato, scheletrico, pazzamente emarginato, un’anima incantevole sbudellata dall’irruente, cruenta società smidollata, un angelo tramutatosi in satana, un pagliaccio grandguignolesco gridante tutta la sua funesta ira per troppo tempo repressa, castigata e ibernatasi nel silenzio poco savio trasmessogli cattivamente addosso da un mondo incurabilmente malsano, un uomo che perse tutto per colpa dell’ignoranza e dell’altrui supponente demenza più boriosa e strafottente ma adesso, oramai distrutto, trafitto eternamente, insanabilmente danneggiato nell’anima mangiatagli viva dalle bestie camuffate da uomini, si diverte come un matto a ululare nell’urlo selvaggio della sua parimenti impietosa disumanità immonda. Turpemente trasfigurato nella metamorfosi da agnellino macellato dalle atrocità d’una bastarda, agghiacciante società ipocrita a lupo mannaro delle notti più profonde. Poiché, dopo essere stato con viltà e sbrigativo pregiudizio scarnificato e deprivato della rosea sua congenita, felice e inoffensiva schiettezza, della sua adamantina, illusa tenerezza, dopo essere stato spogliato d’ogni più autentica, soave candidezza, se dapprima per tempo immemorabile, pietosamente, si protesse alla bell’è meglio, celandosi negli effimeri, chiaroscurali bagliori intermittenti della sua infinita, stoica, emotiva resilienza, alla fine soccombette sbriciolato e impotente dirimpetto a tanta smisurata malignità invincibilmente a lui tremendamente ledente.
Assurgendo lui stesso a maligno per eccellenza, a diavolo ribelle e fulgente d’un mondo forse giammai completamente cristallino e sinceramente luccicante. Invero, perfidissimo e meschino, falso e belluino.
Joaquin Phoenix ha saputo sontuosamente donare al suo Joker ogni attimo di tutto questo nostro indelebile, imperdonabile e inguaribile, costernante dolore scioccante.
Phoenix è stato dio e Joker è un capolavoro di giusta forza rabbiosa tonante.
Aspettiamo soltanto la Coppa Volpi per Phoenix e, perché no, il Leone d’oro.
di Stefano Falotico