“Il medico dei pazzi”, recensione

Pasquaaaleee!

Pasquaaaleee!

 

Quando, da un equivoco “manicomiale”, si può generare una trama “distorta”, contorta a viso del poliedrico, insuperabile Totò

Non comprendo, eh sì, son “tardo” di comprendonio, infatti adesso devo servire il parroco in refettorio. Il parroco è un tipo mesto con ambizioni da Padre Pio. “In fallo”, “stigmatizza” le suore parruccone in sagrestia e io verso loro della sangria divina, allietando il “girovita” da me(n)dicanti d’una bontà talmente “pura” che Cristo spunta da dietro gli altarini e, a ossa dello sgranocchiarli, li picchia con ferocità. Li bacchetta in modo inaudito sulle ditina. Assieme a questo “povero” Cristo, poi vado a gustar tutte le impudiche chiesastiche che san d’oculatezza reggerci lo scalzar i tabù più ottusi e “integerrimi”. Ci sbizzarriamo fra donne d’una età avanzata eppur di sesso a pelle, lor se ne sbellicano, spelliam le veneri alla Botticelli, da benedir con tanto di “cappella” sverginante, sì, “scappelliamo” di gentilezza per poi avanzar fra le giovincelle dotate ed educarle a una preghiera in pace del Signore. Quando la Luna colora di pepe e noi le adoriamo di pece “ado(mb)rante”, ecco che tal signoria si prodiga in “castissima” e notevole “virtù”, mentre innalziamo il calice della Comunione per un’alleanza di noi a (ri)fiutarle nel sollevarle. Che solletico. Siam selettivi, Cristo d’altronde siede alla destra del Padre e non amiamo i “tiri” mancini, soprattutto se a “tirarcerli” son quelle racchie che assomiglian tanto a tua madre. Sempre sconsolata e adirata. Sua “sorella” è più bona, San Francesco la spogliò di “cantico” a “creatura” dell’uccellaccio alla Pasolini. Non è un caso che il grande Totò poi sia approdato a Pier Paolo… come infatti recita l’epistola di colui illuminato nei pressi di Damasco… non Davoli Ninetto bensì non darmi dell’inetto se son diavolaccio! D’altra pasta rispetto all’adesso buonista Benigni, convertitosi al “dolce” ecumenismo. Prima sì ch’era un papocchio, il primo suo rincoglionimento fu Pinocchio.
Se per tale “oscenità” mi giudicate matto, ebbene lo so(no) e non ho nulla di cui pentirmi. Io (s)confesso e nessun mi fa fes’…
Cari miei baccalà, abboccate puntualmente alle mie provocazioni e (ar)restate con un palmo di naso, ché non modererete la mia indole boccaccesca nel vostro star ad aperte bocche. Pasquale! Oh, mio psichiatrino di bocchino, quante raggiri e poi t’imboccano?
Io sono il vero erede di Totò, mi faccia il piacere! Vada a prender per il popò un babbeo più inculabile e “inguaribile” delle sue che glielo inguainano. Sono il tuo guaio, sono il gatto dalle sette vite e tre per tre non fa sol prova del nove. Mio da diagnosi, son agnostico. Dovevi calcolare il metterti mio a novanta. Tal trombone si laureò con lode ed eccole allora la mia colante “adorazione”, croci e spine da porcospino. Come la decollo io, neanche San Giovanni ildecollato.
Sono Felice Sciosciammocca, sindaco di Roccasecca, e di genialità non rimango mai a secco. Di viso naturalmente a essiccarti e adesso sbianchi perché ho sbancato.

Da piccolo, giocavo col mio (pu)pazzo Ciccillo, Ciccillo è assonnante a cuculo. E vocalizzo aitante, tutto a rizzartelo, mio peloso inculato. An(n)o fortunosissimo e non mi dannare, devi solo risarcirmi i danni.

Funambolo della parola, Principe della commedia napoletana, fatti una “sana” risata.
Ride bene chi ti fa piangere di colpo di (s)cena. Mai giudicare un genio e reputarlo “mostro” se invece si (di)mostrerà istrione da palcoscenico. Animale di tutte le scene. Oh mio da scemette. Shampiste!
Regge da solo l’intero pe(r)so…
Soprassediamo sui tuoi “orrori”, occupiamoci di ciò che rende la vita gioiosa. Ché dei dottori son stanco e le sarò qui a “raccontargliela” francamente. Ecco la mentina, il mio scioglilingua deciso ma che lei non decifra nonostante salivare glielo appioppo (ai pioppi, car cipresso è lei il depresso) nelle chiappe il “francobollo”.

Ciccillo si fa mantenere dallo zio. Per anni durati un’enormità, si “professa” studente di psichiatria. Invece, fa la bella vita alle (s)palle di quel “coglione” del nostro Paperone. Molto meno tirchio del personaggio della Walt Disney e però “tagliato”, come dicono a Napoli, patria delle pizze, intese a taglio. Pulisciti col bavaglino. Ove, fra tanti ingenui e sempliciotti tarchiati, nacque De Curtis per decurtar i luoghi comuni sui “nullafacenti” partenopei.
Sì, lo zio Totò comincia a stufarsi. E si mette in viaggio, con moglie e figlia, per andarlo a trovare e tastar con mano se sia davvero padrone di una clinica per pazzi, come il nostro “nipotino” sostiene… a spese… del son cazzi tuoi.

E ora che farà il nostro millantatore? Pochi esami ha dato, è di debito arretrato, può soltanto inventarsi un’altra bugia grande come una casa. Anzi, come una Pensione Stella.
Sì, dichiara allo zio, per svignarsela dalla menzogna vergognosa, che una pensione tranquillissima altro non è che un manicomio e che i clienti dell’albergo sono suoi pazienti.  Che “pazzia”.

Da questo (in)voluto malinteso, si scatena il casino.
L’imbroglio sarà al solito scoperto e il filibustiere nipote (s)fregato.

Ma Totò è nobile d’animo, signori si nasce, e perdonerà di lieto fine. Che finezza. Che classe, modestamente non è acqua e lui lo nacque.

Insomma, uno dei film preferiti della mia infanzia, è eterno.

E ho detto tutto…

Qui divento Peppino ma non da caffè della Peppina.

Caro Peppone, Don Camillo alla Terence Hill adesso ti spacca.

 

(Stefano Falotico)

 

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