“Face/Off”, recensione
Killer–s d’un Woo american eagle dello specchio fracture
Seconda trasferta USA per il maestro dei proiettili balisticamente pirotecnici di piroette “ballerine”, incroci di sguardi antitetici e agli antipodi, a issar la bandiera “vittoriosa” del podio bianco/nero sfumato di grigio dalle penombre furtive ove si confonde il buono dal cattivo, tanto labile è la linea sottilissima, sì, il fil rouge degli incastri mentali dell’anima.
Il suo corpo emozionale a sbiadire i contorni, a gravitarti in tondo e non arrotondare le ambigue furie dalla malinconia, la giustezza dal criminoso attingerne già stinto in tinte fosche, ché il savio è anche lui un po’ matto, e il delinquente si (ri)scoprirà più innocente delle ferite traumatiche di chi “aguzzò” nel Cuore, quel taglio di piombo “involontario” che uccise suo figlio di sciagurata mira erronea. Quella pallottola che, “indagata” nel suo tragitto oscillante e pericoloso, si conficcò mortale, sfregiando l’innocente. Un delitto aberrante, anche il mostro piange e “arriccia” la fronte (di)strutto.
Dunque, verdetto per direttissima, incarcerato di camicia di forza in un ospedale quasi psichiatrico, “avveniristico” dell’inquisitorio, medioeval mangiarti vivo fra altri animali, forse più sporchi di te.
Castor Troy è in fondo, sì uno stronzo, ma un romantico.
Un rebel che spacca tutto e amputa il muro omertoso del suono di ch’incarcera anche la dignità dei più farabutti figli di puttana.
Una scena d’antologia, si maschera di “timidezza” per far buon viso a sorte da malvagio che finge bontà per attendere, con pacate strategie, il giudizio forse catartico della sua liberazione. Agognata in quella fogna, con la testa fracassata nelle gogne della lenta lobotomia ad evirarti la goccia di sangue residua della resina da inarrendibile che, prima o poi, crollerà.
Ma Castor non ci sta, e scatta, urla, riempie di pugni lo stronzo di turno della “pausa”-mensa, e incita la folla al suo grido “folle”, esagitato: Io sono… Io sono Castor Troy, appunto!. Evasione studiata con l’“accetta”. “Rimpatrio” con tanto di sorpresa a chi proprio l’ha arrestato. Il suo eterno (a)nemico della lotta epica fra Bene e Male.
Perché non assumerne le sembianze “a vicenda?”.
Prima, “infiltrarsi” nella pelle di Cage e poi Travolta “inscatolato” in gabbia… gatto col topo, e viceversa. Facce interscambiabili per un combattimento psicologico cronenberghiano. Il Dottor Frankenstein a suo servizio.
A “viziarti” d’una nuova identità, orrenda o quella che sognavi e a cui sparasti.
Capovolgimenti di fronte, adrenalina sinaptica di chi sarà più furbo e freddo, inganni, doppiogiochismo, mogli che godono meglio con la merda anziché con il “tutore”.
Ma i conti tornano? Dal luccichio degli occhi, dovresti intuire l’impostore, ma la velocità di Woo si sofferma per alterare proprio le iridi, per mischiarle nel buio “solare”.
Desertifica l’apparenza, la confonde, ci raggira, spia e non soppesa i ralenti.
Calibrati d’enfasi prima di detonar nell’action.
Nic mai così perfetto, torvo e scarface di paciniana cattiveria da onnipotente delirante, drogato e marcissimo, Travolta più grande di Pulp Fiction.
Nessun cazzeggio stavolta, già, John melodrammatico e istrione solo di sottili, ficcanti battute lapidarissime. Rapide come i colpi secchi, come l’inseguimento, poi un altro senza sosta.
Che mette finalmente (?) fine al contenzioso del duello acerrimo.
Forse…
Anche le colombe della Pace tremano sopra il mare inquieto degli abissi profondi…, e potrebbe rispuntare, sotto le tue e nostre “lenzuola”, il Babau ancora vivo.
Che ha fregato tutti.
(Stefano Falotico)