“Interceptor” (Mad Max), Review
Arma letale scatenata, dalla violenza più turpe si può (ri)generare un h–ero warrior!
Afferro la mia carta d’identità per le intercapedini dei ricordi seppelliti, sgretolato nello snodarli e acciuffar capelli d’un ciuffo mio brillante che, dall’opalescenza ottusa di molta gente meschina, fu “ammattito” all’ingrigito incattivirmi per poi rifulgere d’estasi quando li punii d’esecrabilità pari al lor stuprar stolto, “guascone”, da “motociclisti” inneggianti risata sguai(n)ata e goliardica, golosità loro affamata dell’orrore più ad abominio tremendo. Da terrificarti tanto da trasformar il tuo congenito, sacro pacifismo in “pericolosa” fiamma divinatoria, potenziata d’ira e spezzata in Lancia travolgente. Sì, una delle mie macchine cronenberghiane favorite è Crash mischiata dentro far male ai dannosi ch’ammaccaron la mia immacolata, innocente e lucentissima carrozzeria. Delta o Musa… ispiratrice, son io adesso a targarli, “tampono”… le ferite ce bruciaron d’ostinazione con recidive ripercussioni e “pneumatico” asfaltarli. Di crudezza unforgiven.
Vivo o morto, tu verrai con me, lapidaria “stigmata” d’arrossato, infervorato Robocop transformer partorito dal dangerous method.
Tornerà di moda quest’anno il capolavoro di Paul Verhoeven attraverso il reboot, speriamo non brutto, d’un futur(istic)o immaginarlo in più avveniristici effetti speciali collegati all’amnesia del protagonista, dunque al mnemonico ricucirlo total recall attraverso i filamenti organici della “lubrificazione” androide intessuta in un’anima spezzata. Sdrucita! Bruciata pelle di giubbotto serpentesco!
Che c’entra Robocop? Tutto forse parte da questo Mad Max antropocentrico, crocefisso nelle interiora sventrate di un Cuore distrutto. Esploso a deflagrazione vendicativa.
Ché, una volta riazioni i circuiti mentali, qualche connessione potrebbe riagganciarsi alla rimembranza emozionale, le membra ventricolari dell’amore rubato riscoccheranno turbinosamente a carburar la vita tranciata. Di netto frantumata, “deformità” d’una potenza di fuoco stellare.
Lo capto di mia nascita a classe 1979.
In un futuro apocalittico, forse più tribale di Apocalypto, la società vive senza leggi.
Le città son “bombardate” da psicopatici coi caschi e dalle maniere brutali.
La polizia non riesce a fermarli. E, quando uno azzarderà troppo d’affronto all’orda cannibalistica, gli trucideranno non solo il collega bensì anche i suoi affetti più cari, moglie e figlio piccolo.
Da allora, in Mel Gibson/Mad s’attua una modifica d’Arancia meccanica ribaltata. Impressa a marchio!
Intercetterà uno a uno i colpevoli del massacro, li distruggerà, li assedierà come una furia implacabile. L’ultimo implorerà pietà, ammanettato allo scandir, “in sincronia”, d’un uguale “risarcimento” mortale. Impietoso!
George Miller crea la sua opera grandiosa, epocale, biblica, spettrale, allucinante, la sequelizza magnificamente e l’issa in gloria nell’Oltre la sfera del tuono, lo canta nel cigno “nero” d’una Tina Turner pantera.
Una trilogia spettacolare, seminale che cresce mitologica d’anno in anno.
E, fra pochi mesi, (ri)nascerà nelle vesti arrabbiate del grande Tom Hardy, per un quarto capitolo tutto da (ri)vedere.
Sono un intellettuale, rifletto sempre sulle conseguenze delle azioni obbrobriose.
Chi subisce un torto di proporzioni così colossali, può vendicarsi di kolossal.
Il resto è una benedizione per consolazioni. I resti del tuo pezzo di merda non saranno mangiati neanche dagli avvoltoi.
Ci (ri)vediamo al cinema.
Non ti è rimasto niente per cui (ri)vivere. Ora, sei veloce vista, riveduto e (s)corretto. Come pretendo di (non) essere.
(Stefano Falotico)